Milano. Ore 16: La serata inizia prestissimo. I cancelli sono già aperti per lasciare entrare i fan più accaniti, in coda agli ingressi già da ore. Il prato di San Siro comincia ad affollarsi, così come gli spalti.
Poco prima della partita Italia – Costa Rica, il primo colpo di scena: Eddie Vedder, con la maglia numero 10 della Nazionale, quella di Cassano, intona una versione acustica di Porch che infiamma i fortunati che già sono all’interno dello stadio e crea curiosità in chi è rimasto fuori e può solo sentire alcuni boati del pubblico. Qualcuno, dopo la partita, già malignava su quanto il leader dei Pearl Jam avesse portato sfortuna alla nostra Italia (uscita sconfitta 1 a 0 dai centroamericani), ma questa è un’altra storia.
Finita la partita, c’è poco tempo per alzarsi e assisterne ad un’altra, la cui trama è stata senza dubbio più esaltante: tre ore di rock, quasi senza pausa, in cui la band più longeva del grunge ha alternato sapientemente grandi classici di fine anni ’90 ad estratti dei loro ultimissimi album.
Non sono ancora le 21, il cielo è ancora luminoso quando i Pearl Jam, questa volta al gran completo, fanno il loro ingresso sul palco. Un claudicante Eddie Vedder, contrariamente al solito, non ha molte parole per introdurre lo spettacolo, basta un incerto “Siete tuti pronti?” a scaldare i 60mila del San Siro che si aspettano un inizio adrenalinico come fu 4 anni fa a Venezia o nel tour di 8 anni fa che toccò anche Milano, invece si parte in maniera molto soft e ricercata: l’inconfondibile riff di “Release”, uno dei brani più belli e toccanti della band, e la sempre splendida “Nothingman” sono l’inizio che accontenterebbe qualsiasi fan sparso per il mondo. I brividi continuano subito dopo con il primo pezzo del nuovo album, Lightning Bolt, la bellissima “Sirens”.
Inaspettata arriva anche “Black”, quasi mai spesa a inizio concerto ma sempre molto apprezzata dal pubblico che la canta a squarciagola, aiutando la deludente qualità dell’acustica (unica nota davvero dolente della serata). “Go” e “Do the evolution” portano l’atmosfera alla sua dimensione più rock e scatenata, aprendo la strada alla parte più trascinante del concerto. Irresistibili arrivano in fila “Corduroy”, “Lightning Bolt”, “Mind your manners” e “Pilate” con le quali i Pearl Jam accompagnano l’imbrunire e soddisfano anche i più bisognosi di carica che occupano saldamente il centro del prato.
I cambi di atmosfera sono frequenti ma non sono una novità per chi è abituato a stare sotto un palco di un loro concerto. E sono sempre intervallati, nelle date italiane, da un Eddie Vedder che si cimenta, con i suoi appunti personali, in incerti discorsi in italiano. Anche in questa occasione, ha voluto ricordare i bei tempi passati a Milano per i concerti della band (soprattutto il primo, nel lontano 1992 e quello del 2000 al termine del quale conobbe Jill McComick, la sua attuale moglie e madre delle sue bambine). Il vino preferito dal frontman (il Chianti!) accompagna e disseta Eddie prima di intonare l’oramai collaudato mix “Untitled / MFC”, la prima proposta in un nuovo ma sempre toccante arrangiamento e la seconda, invece, dedicata al traffico di Roma. “Given to fly” è il grido rabbioso di chi, dopo più di 20 anni di carriera, non si è arreso e continua a combattere con la presunzione, tutta a stelle e strisce, che la battaglia sarà vinta (“we will win” a introdurla ha il tipico sapore retorico dell’ottimismo nordamericano).
“Who you are” e “Sad” sono i momenti più incerti della scaletta che conterà alla fine ben 35 pezzi e due encore! “Even Flow” arriva dopo quasi un’ora di concerto e offre il primo di una lunga serie di interminabili assoli in cui l’infortunato Vedder lascia il palco a tutta la bravura e l’affiatamento degli altri 5 membri della band. Si continua con il penultimo pezzo tratto dal loro ultimo lavoro, “Swallowed Whole” e suo inno alla consapevolezza, degna apertura alla nuova versione, corale e non più solista, di “Setting Forth”, scritta e suonata da Eddie Vedder nel suo album colonna sonora del film “Into the wild”. La tripletta “Not for you”, “Why go” e la sempre splendida “Rearview mirror” con un altro interminabile assolo di gruppo, chiudono la prima parte del concerto e concedono una sosta ad un pubblico fisicamente messo a dura prova!
Si riprende e la scenografia a forma di uccello fatta di materiali riciclati cala lentamente In modo da creare la giusta intimità per i primi pezzi del bis, tutti molto intensi e delicati. “Yellow moon”, quinto e ultimo pezzo di Lightning Bolt, “Small Town”, “thin Air”, “Just breathe” e la sempre presente “Daughter” che finisce sfumando in “WMA”, “Let it go” e “It’s Ok”, sono suonate e cantate con molti membri della band seduti, come se stessero di fronte al camino di casa in una fredda giornata d’inverno.
La scenografia si alza per ridare spazio alle sonorità più dure dei vecchi classici mai tramontati. “Jeremy” è la dedica a tutti i più deboli, “Better man” con il suo nuovo finale si consacra sempre più come canzone simbolo, poi la potente “Spin the black circle” con una delle poche corse di Mike McCready, “Lukin” e a chiudere “Porch” con un altro assolo che, contrariamente al solito, non vede Vedder protagonista di peripezie o acrobazie varie.
I Pearl Jam salutano, ringraziano, lo spettacolo è finito e si sono dimostrati ancora una volta una delle migliori rock band ancora in circolazione. Nessuna sbavatura, tantissima energia, pause ridotte al minimo indispensabile, sul palco i sei ragazzotti ormai cinquantenni hanno ancora la forza per dire la loro anche se al pubblico manca ancora qualcosa.
E allora sotto col secondo bis, questa volta a luci accese. La tripletta è il finale epico a cui la band di Seattle ci ha abituato in più di 20 anni di onorata carriera. “Alive” apre ed è l’occasione per un altro assolo di gruppo, in mezzo la sempre fenomenale cover di Neil Young “Keep on rockin’ in the free world” chiusa con un altro interminabile assolo corale e, dulcis in fundo, una delle canzoni più adatte a chiudere un live: la straordinaria “Yellow ledbetter” che ancora non ci si spiega come non sia riuscita a trovare posto in nessun album della band.
Quelli saliti sul palco di San Siro venerdì scorso sono degli ex ribelli, senza più i capelli lunghi, con figli ormai adolescenti ad accompagnarli e suonare con loro; ringraziano le mogli, si fanno gli auguri di felice anniversario. Non vedremo più le pericolose scalate di Eddie durante l’assolo di Porch, o le corse senza fine di Mike McCready. Vedremo degli attempati signori di mezza età che continueranno a suonare, per molti anni ancora, alla maniera del buon Springsteen, un solido ed energico rock’n’roll.
Quanto a noi, umili fan, come recitava un enorme striscione allo stadio, “we keep on rockin’ in the free world with you”.
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autore: Luigi Oliviero