Prosegue il cammino di mister Mark Lanegan a ritroso su binari deraglianti verso scenari di primitivismo rock, noir elettrico e profezie da cabala americana. Lo sfilacciamento delle note sullo spartito, come un ritornare alle radici delle work songs di Mississipi John Hurt, è diventato un contrassegno del cantante originario di Ellensburg.
Un figurismo iconoclastico più marcato della lettura data da Cave o da Waits. Un modus operandi che notiamo applicato nei suoi ultimi lavori solisti, come anche negli album a doppia firma con Isobel Campbell, dove spesso l’udito è portato a sapere già prima che l’immagine si palesi vivida, cosa si stia per ascoltare.
Accade volentieri di percepire questo senso dai bravi autori che negli anni si sono intagliati una loro tavolozza su cui impiastricciare colori, sfumature e ombre. Lanegan, ormai da un decennio, può vantarsi di essere nell’albo di questi artisti e al suo fianco, ufficialmente nel moniker questa volta, c’è Duke Garwood, già chitarrista in Blues Funeral.
Duke possiede già di suo un pedigree invidiabile: da Shezad Dawood a Wooden Wand, da Alex Taker a Kurt Vile. Un arguto musicista dalle locuzioni artistiche efficaci, che preferisce magari l’intimo raccordo col nasale di Lanegan all’estrosità tecnica.
L’intreccio armonico della title track come di Pentacostal, i modi in minore, quasi raga folk di War memorial scavano in un secolo rurale che da “blind” Willie Johnson conduce fino a Fahey senza colpo ferire.
Questo, in bignami, è il cosmo soppalcato all’irriverenza americana dell’ex frontman degli Screeming Trees e alla sinusoidale cupezza del chitarrista londinese. Le differenze fra questi due protagonisti quasi tendono ad annullarsi – abbordare testa a testa la metropolitana Mescalito con la bucolica e beatlesiana Sphinx.
Lo spleen che Lanegan, in Last Rung, tesse come rovi di lana vetro nel palmo di una mano, trova un punto di acquiescenza con le finezze blues di Garwood molto accentuate in driver.
Sulla rotta di casa può dirsi concluso l’avvitamento su se stessi, il carico dei pensieri pesanti che abitualmente contraddistingue la lirica di Lanegan e che scivola via verso una dolce preghiera. Manchester special è a sigillo di tutto l’album perchè dona il senso di cosa sia passato nelle acque reflue di questi due autori in tutti questi anni, l’uno dal passo più lungo, l’altro dal passo più corto.
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autore: Christian Panzano