Comincia con due fisarmoniche evocanti le note di ‘O Sole Mio il concerto di Bruce Springsteen e della E-street Band a Piazza Plebiscito di Napoli: un omaggio alle origini sorrentine del Boss, che prosegue con Long Walk Home, inedito inizio per una splendida ma tutto sommato recente canzone del repertorio del rocker.
Chi conosce Springsteen e segue da tempo i suoi concerti sa che ogni esibizione avrà una sua trama, una sua specificità, un “tema” speciale sul quale il Boss giocherà per tutto il tempo tra un pezzo e l’altro. Qui il tema è l’appartenenza alla terra, le origini meridionali del Boss, un tema senz’altro velleitario e anche un po’ ruffiano se vogliamo, ma che funge perfettamente a conquistare il cuore dei circa 20.000 presenti (su 30.000 biglietti in offerta per l’unica data nel sud Italia: crisi economica o arretratezza culturale sempre più preoccupante?).
Anche perché sono gli stessi fan a cavalcare l’argomento: il Boss, subito e piacevolmente sorpreso, si ritrova davanti le prime file la foto d’epoca, riprodotta in cartellone, dell’antico caffè Zerilli di Vico Equense, e subito esclama “Il bar di mio nonno? Ma guarda!“. Bello anche vedere Bruce e Little Steven sventagliare uno striscione dei fan con su scritto “This land is your land”, o sentire, per la prima volta da anni in Italia, Springsteen eseguire My Hometown dedicandola ai suoi conterranei di Vico.
Insomma il tema è questo, ed è certamente una ruffianeria: ma che nella quarantennale carriera del Boss la terra e l’appartenenza, conflittuale, dolorosa, travagliata ma pur sempre imprescindibile, siano due temi portanti delle sue liriche questo nessuno può negarlo. E un assaggio della veracità di questi temi nel concerto Bruce lo offre anche con pezzi come The Promised Land, Badlands, Land of Hope and Dreams, The River, tirati fuori a raffica a metà concerto.
Dopo Long Walk Home i fan sono omaggiati da una (relativamente) rara My Love will not Let You Down, seguita da Out in The Streets e Hungry Hearts (The River sarà l’album più saccheggiato in questa serata). Segue poi il momento “promozionale” del tour con tre pezzi a raffica tratti dall’ultimo album ovvero We Take Care of Our Own, Wreckin Ball e Death to My Hometown, e poi il primo lungo dialogo col pubblico per chiedere sostegno e cercare “feeling” prima dell’esecuzione di Spirit in the Night.
Segue un’altra chicca, Rosalita, che lo stesso Boss, invitato a suonarla dai consueti cartelloni del pubblico, dichiara di non aver mai fatto a metà concerto. Dopo la citata The River arriva Prove it All Night con il consueto assolo lunghissimo e falcidiante di Lofgren, e poi Radio Nowhere, Promised Land e un’altra chicca, Pay Me My Money Down tratta dalle Seeger Sessions e fin qui mai suonata con la E-street Band in Italia. L’ambientazione folk prosegue con Shackle and Dawn, mentre intanto il pubblico è sommerso d’acqua gelida che proviene dal meteo non affatto clemente di questi giorni napoletani.
Sarà per questo che, opportunamente, la E-Street Band attacca Waiting for a Sunny Day e Who’ll stop the Rain: credeteci o no, la pioggia finisce ed arriva The Rising, Badlands, Land of Hope and Dreams e My Hometown.
Magari il pubblico non li conosce o non è certo in questo momento attento ai testi, ma chissà quale sarebbe la reazione se sapesse che sono tutte canzoni che parlano di storie cittadine di povertà, di fallimenti e di speranze, di distruzioni e incitazioni a riprendersi (The Rising), di terre maledette che non danno lavoro (Badlands), di crisi economica e distruzione di posti di lavoro (My Hometown), e della invincibile e infallibile speranza (Land of Hope and Dreams). Ed è questo il momento che, consapevole o meno che ne sia il Boss, il legame della sua terra americana con la nostra terra sud-mediterranea si fa veramente reale, palpabile, e non più un pretesto per divertire il pubblico. Una magia nella magia del concerto, anche se una magia che nasce dall’avere il Boss raccontato da sempre storie di derelitti e di poveri, mai così attuali in una città come Napoli e in questo particolare momento storico.
Siamo intanto ai colpi finali: Born in the USA, Born to Run, Dancing in the Dark, che già stenderebbero chiunque per l’emozione, a cui seguono nel bis l’omaggio all’indimenticabile Big Man Clarence in Tenth Avenue Freeze Out (scorrono sul maxischermo le immagini di 40 anni di carriera insieme, e poi compare anche un toccante primo piano di Danny Frederici) e infine una interminabile Twist and Shout, e poi, con la band nelle quinte, un’ultima chicca: una Thunder Road in chitarra acustica e armonica, eseguita dal solo Springsteen quasi post-concerto. E la memoria va a quell’indimenticabile 22 maggio ’97 quando dal balcone del teatro Augusteo, poco lontano da Piazza Plebiscito, il Boss dedicò a concerto finito ai fan l’ennesima canzone.
Che dire, che non sia stato già detto, di un concerto del genere? Che Bruce vincesse anche su pioggia e vento, i fan lo sanno da tempo. Che sia in grado di suonare, a 64 anni, per tre ore e trenta 27 pezzi alcuni dei quali tirati per 10 minuti, anche questo non fa notizia e non stupisce più. Le parole sono state tutte spese: diciamo solo allora, con le frasi di uno dei tanti striscioni del pubblico, che “finalmente c’è stato a Napoli almeno per una sera un vero Boss”.
Peccato solo che non sarà né l’ultimo né l’unico, per una straziata e umiliata città, che però almeno per una sera, può essere orgogliosa di sé, avendo ospitato uno dei più grandi artisti rock degli ultimi 40 anni che suonava per la prima volta in una piazza aperta.
autore: Francesco Postiglione