Incontriamo Ciro Tuzzi per approfondire e soddisfare alcune curiosità rispetto ai temi analizzati nella recente recensione del terzo album “Ogni cosa è al suo posto” (leggila qui www.freakout-online.com/album.aspx?idalbum=2452).
A cinque anni di distanza da “Silenzio Assenso”, disco che li lanciò nell’olimpo del rock d’autore italiano, tornano con una band tutta rinnovata: la vera notizia è scoprire quanto sia piena d’ispirazione l’anima cantautorale di Ciro, oramai la più grande voce rock di Napoli degli ultimi 15 anni. (ndd)
Ogni Cosa è al suo Posto, il nuovo disco degli Epo, giunge dopo una lunga attesa, in cui della band si erano perse le tracce, e se ne metteva in discussione la sopravvivenza. Come mai tanto tempo dal precedente lavoro?
È tutto da attribuirsi al naturale corso degli eventi. Non sono mai stato un autore particolarmente prolifico e preferisco essere certo di quel che ho da dire piuttosto che dare alle stampe qualcosa in cui non credo a fondo per rimpinguare la discografia.
Come sta andando la promozione del disco? Come vi sembra l’accoglienza della stampa specializzata, e del pubblico?
Probabilmente è presto per un bilancio. Quel che posso dirti è che noi siamo contenti del disco. E che ci sembra che i primi feedback siano in linea col nostro modo di sentire.
Come si è giunti alla nuova formazione a tre degli Epo?
Anche in questo caso le cose vanno in modo molto naturale: sin dall’inizio della storia degli EPO c’è stato chi andava e chi rimaneva, avvicendamenti plurimi che hanno portato me ad essere l’unico superstite del nucleo originale. Con Michele e Jonathan – rispettivamente chitarra e batteria – ci siamo a un certo punto chiesti se ci andasse di proseguire così o diversamente. La risposta la vedi da te ?
Mi pare ci sia molta meno elettronica, nelle nuove composizioni, rispetto al disco del 2007; più essenzialità, e gli arrangiamenti soprattutto dal vivo direi che puntano molto sulle chitarre elettriche, con lo stile rock blues di De Finis che qua e là dà un colore inedito. Vi riconoscete in quest’analisi, e qual’è stato il percorso che vi ha portato a questo stile espressivo?
L’unica scelta aprioristica nel lavorare ad Ogni cosa è al suo posto è stata quella di puntare tutto sulla “canzone”. Far si che arrangiamento e suono fossero al suo servizio. Questo è stato un modo da un lato un po’ diverso di procedere rispetto al passato, dall’altro semplicemente conseguenza del legame che in un anno di lavorazione si è creato tra noi e le canzoni che compongono il disco. Il fatto che poi questo sia indubbiamente un disco “più di una band” che in passato da ovviamente risalto al suono composito che senti: il suono di tre musicisti che vengono da mondi a volte molto diversi ma che hanno in comune un certo gusto.
Probabilmente quando parli di chitarra rock – blues ti riferisci a delle parti suonate da me. Michele è un chitarrista “rumorista” – da qui il simpatico credit “chitarre e treni che deragliano”; con tutta probabilità suoni che nel disco non hai individuato essere chitarristici erano le sue “parti” 🙂
Rimangono in ogni caso, soprattutto nei testi, la tensione, i temi drammatici molto interiori, ed il clima chiaroscurale piuttosto fisso che da sempre vi contraddistingue e che narra una condizione esistenziale sicuramente comune a tanti giovani, a prescindere dal riferimento alla difficile situazione sociale del momento. Nelle vostre canzoni si percepisce un’impossibilità a comunicare realmente e fino infondo con l’altro, ed una rassegnazione in tal senso; ‘Un Fuoco’ è paradigmatica, in tal senso, con un testo lapidario come certe cose di Le Luci della Centrale elettrica; vi ci ritrovate su questo?
Io sono un cantautore e purtroppo o per fortuna la sola cosa che so fare è parlare di me, delle mie storie e del mio “dentro”. La bellezza del fare musica è però che una volta scritta una canzone la canzone diventa di chi la ascolta e tutti possono attribuirgli il significato che ritengono, che spesso è assolutamente agli antipodi di quello da me concepito nello scriverla, senza per questo essere meno convincente.
La presenza di tanti ospiti della scena musicale napoletana indipendente sul disco fa pensare sicuramente ad un gruppo di amici che ha piacere di suonare insieme, ma dall’esterno sembra anche una sorta di omaggio che gli artisti napoletani fanno al ritorno degli Epo. Su Ogni Cosa è al suo Posto ci sono tra gli altri i contributi di Giovanni Block, Giovanni Truppi, gli Onirica, Dario Sansone dei Foja, Claudio Domestico degli Gnut, Claudia Sorvillo dei Corde Oblique… come si sono inseriti nel vostro percorso?
Anche in questo caso nel modo più naturale possibile. Sono amici a cui siamo legati e musicisti il cui percorso stimiamo. Sono quindi bastati pochi minuti a tavolino per immaginare in quali ruoli avremmo voluto coinvolgerli nel disco e pochi minuti a loro per accettare di buon grado la convocazione. Il tutto è stato molto divertente nonché a nostro avviso di ottima riuscita ?
La decisione di uscire per la piccola etichetta Polosud mi incuriosisce: so che il vostro disco del 2007 – praticamente autoprodotto – richiese un grande sforzo, che assorbì tante energie… avete deciso diversamente ora perchè scottati da quella esperienza?
Anche in questo caso è stato il naturale corso delle cose a decidere. Ultimata la preproduzione si è profilata questa possibilità. Siamo grati a Ninni Pascale per il suo subitaneo interessamento, di sicuro non è cosa da tutti al giorno d’oggi.
La copertina del nuovo disco è molto particolare; enigmistica, direi… vi si leggono il titolo dell’album ed i titoli dei brani; come l’avete scelta? Il disordine delle lettere sembra voler negare che ogni cosa sia davvero al suo posto…
Ci hai sicuramente visto bene. Ci piaceva sia il concetto grafico – ottima occasione questa per ringraziare Giuseppe Boccia che se ne è occupato – che l’idea di fondo. Ogni cosa è al suo posto è un titolo volutamente ambivalente…
A Maggio avete presentato Ogni Cosa è al suo Posto in un riuscito concerto al teatro Galleria Toledo della vostra città, Napoli. C’era il tutto esaurito, ed un clima ospitale, amicale e complice tra voi ed il pubblico, che testimonia l’affetto che vi circonda, a Napoli particolarmente, malgrado voi non abbiate mai fatto ricorso ad una promozione major; attualmente siete in tour?
Come si dice in questi casi: il tour è in continuo allestimento. Al momento abbiamo confermati dei festival a Bologna, a Perugia con l’amica Marina Rei – che canta nel disco in “un fuoco” – e il Neapolis assieme a A Toys Orchestra.
Il videoclip di ‘A Piedi Nudi sui Vetri’ ha la statura di un vero e proprio cortometraggio, con una vera e propria storia; è nato da un’idea della band, o del regista?
Nasce dal bellissimo rapporto di amicizia e stima professionale che ci lega a Francesco Ebbasta e ai ragazzi dei The Jackal – già con 99 Posse feat Caparezza ; una sera complice una cena e qualche bicchiere di vino gli abbiam chiesto se gli sarebbe piaciuto assumersi la responsabilità di raccontare “A piedi nudi sui vetri” in un video che fosse un piccolo “corto”. Il risultato è quello che vedi.
‘Notte Doce’ e ‘Venere’ penso siano tra le canzoni più liriche che abbiate mai scritto. Lasciano aperte ferite e trasmettono tanta amarezza; mi pare che in questa fase nuova degli Epo, i brani semiacustici siano quelli in cui vi ci ritrovate di più, malgrado ‘Nastro Isolante’, più rock, sia il tipico brano degli Epo immediatamente riconoscibile al primo accordo da chiunque vi segue da tanto tempo; si può parlare di una duplice natura della band sempre più accentuata?
Il suono della band è sempre stato abbastanza “duplice” come ben stigmatizzi. Come ti dicevo questo è prima di tutto un disco di canzoni. Abbiamo fatto esperimenti fino al parossismo nel cambiare “vestito” ai brani.
La cosa più divertente è che le versioni che stai ascoltando ora sono le più vicine a come erano nate un anno fa. Questo testimonia che le canzoni a volte si abbigliano da sole e a quel punto …ogni cosa è al suo posto.
Autore: Fausto Turi
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