Il leader dei Tiromancino regista di “Shadow”. Che Dario Argento abbia pietà di lui
Se avete Zampaglione come amico su Facebook postategli questo da parte mia (che non ho Fb): ‘a Federì datt’all’ippica”. Non si parla di musica, in materia niente da annotare. Qui si discute, e facciamolo, dello Zampaglione regista. Il fatto è che davvero non si può concepire un film horror co le cotiche come s’è inventato il-pur-valido cantautore romano. “Nero bifamiliare”, il suo lavoro precedente, era già una black comedy ipercitazionista e balbettante. Ma passi. Però, amici, in “Shadow” si tocca davvero l’imo dei cruciverba, un modo elegante per dire il fondo del barile. Il cantautore e filmaker romano intendeva omaggiare la tradizione italiana horror, da Mario Bava in poi. Poteva farlo mandando due scatole di cioccolatini a casa di Dario Argento e non facendo questo film. Con piglio strictly Usa style (infatti il film è prodotto da americani) Federico si spinge a mettere inspiegabilmente in scena una demenziale sequenza di inseguimenti e acchiappamenti nelle grandi vallate di una specie di Oltrepo pavese. Sentite qua: due energumeni rincorrono in suv, mitra alla mano, altri due tizi in bicicletta e non li raggiungono mai. Saranno mountan bike a biodiesel. Sparano raffiche di mitra continue e non li beccano mai. Saranno pure orbi.
Uno stop and go irritante fino all’improvvisa, non giustificata, sterzata verso il Mostro. Voglio raccontarvelo così saprete cosa rischiate: i tre protagonisti si ritrovano tamblè nelle segrete del castello-galera di un Nosferatu che sembra Minzolini del Tg1 dopo il primo bagno a mare. Questo essere colleziona vecchie bobine su tutti i conflitti bellici. In corridoio troneggiano i ritratti, ohhhh, di Hitler Stalin e Bush (peccato, manca Vega di Goldrake). Il Mostro, pensate, si diverte a torturare i suoi progionieri. E ora scatta l’horror, madame e messieur, sottoforma di micidiale scarica elettrica che abbrustolisce le terga a uno dei torturati, il più sboccato, e fa salire il costo dell’Enel. Non è finita: il cattivo, un po’ Sade un po’ Mastrolindo, si dà pure al taglio della…palpebra, scena che manco si vede (Dalì e Bunuel al confronto sono Satana).
David di culatello, poi, per i dialoghi. “Che ne facciamo di questa puttanella eh Buck?”. “Lasciatela in pace, andate via, mi avete sentito bene?”. Siamo dalle parti di ehi tu porco levale le mani di dosso. Un flash: era tutto un sogno, abbiamo scherzato. Il protagonista in realtà si trova in un ospedale da campo in Irak. Cinque euro il biglietto pagato (era mercoledì). Avrei potuto investirli in un altro tipo di horror, cioè la giostra-cazzotto, che più colpisci forte più sale lo score: un po’ come hanno fatto quei giovanotti riuniti nel parcheggio dell’Ipercoop per ottanta minuti, la durata del film, a tirare pugni finti. Potevo spenderli così. E invece li ho regalati a Minzolini.
Autore: Alessandro Chetta