E’ sempre una bella notizia, l’uscita di un disco di metal moderno italiano con delle serie ambizioni ed una produzione professionale, in una fase storica, che per la verità dura da almeno 10-15 anni, in cui la musica indipendente, nel nostro Paese, sembra estremamente addomesticata, ripiegata su se stessa, e tutto sommato innoqua.
Sono tempi durissimi, tanto per cominciare nelle periferie delle nostre città ma non solo, e tradizionalmente il metal esce allo scoperto da lì, proprio in momenti come questo. Dall’interland milanese, gli Enempidi (non siamo neanche sicuri di dove esattamente vada l’accento, nel loro nome, perciò non rischiamo avanzando ipotesi al riguardo…) colpiscono durissimo, con uno spietato assalto chitarristico, due voci di cui una growl probabilemnte senza filtri vocali, veramente devastante, e testi talvolta in italiano, talvolta in inglese.
I modelli sono vari: tra il metal estremo americano, potentissimo, di Machine Head e Eye Hate God (‘Choice’), a certo metalcore anche europeo, tipo Turmoil, Dillinger Escape Plan, 400 Colpi, Linea 77; i testi delle canzoni, forse ancor più delle musiche, lanciano un terribile grido di sofferenza e rabbia, per una condizione di asfissiante perdita di speranza e di prospettiva, in cui per la verità un’intera generazione, credo, oggi, non può che riconoscersi.
Sono la bellissima ‘Fermoimmagine’, vetta più intensa del disco, e poi ‘Gain’, che termina in crossover, e ‘Q.B.‘, che è un brano metal in italiano che procede tra passaggi assai vari e cambi di ritmo e velocità, i brani che più ci hanno scosso, mentre il singolo di lancio, scelto dalla band, è ‘Sottocontrollo’, che per i contenuti rilancia la paranoia di ‘Fermoimmagine’, ed è una canzone pesante e nera come la notte, senza alcuna speranza di salvezza. ‘Lontano da Me’ ricorda certe cose di Korn e Limp Bizkit, e se il repertorio degli Enempidi in effetti non è innovativo, bisogna ripetere che in un certo senso in Italia c’è bisogno di un disco così, per dare in qualche modo visibilità a chi a stento rimane a galla, se non addirittura finisce sul fondo, dimenticato.
Autore: Fausto Turi