Il duo formato da Josh Carter e dalla sempre avvenente Sarah Barthel ha rilasciato con Republic Records a marzo il quarto album, Ceremony, ed effettivamente il disco ha il sapore di una cerimonia: quella della consacrazione dei Phantogram come band elettronica alternativa e sperimentale, per quanto comunque confinata entro il genere dell’elettropop.
E’ dunque pop elettrico, in fin dei conti, molto melodico e sempre confezionato nella tradizionale forma canzone da 3-4 minuti al massimo, quello cantato dalla splendida voce di Barthel e orchestrato dagli effetti e dai loop e sinth di Carter: ma è un pop mai banale, mai scontato, e le melodie sono sempre ricercate, e condite con i dovuti arrangiamenti che solo la sapiente arte elettronica ormai collaudata dei due riesce a fare.
Prendiamo per esempio Dear God: per chiunque abbia ascoltato già pezzi dei Phantogram la canzone di avvio del disco risulterà una sorpresa, quasi un gospel elettrico, dove si insinuano venature acid jazz. Poi, In A Spiral, la track 2 e primo singolo, fa una deviazione a 180 gradi verso un ritmo incalzante quasi hip hop, mentre Into Happiness, il secondo singolo, scopre atmosfere e melodie fuori dal solco di quanto già lodevolmente espresso dai Phantogram nei dischi precedenti, per esempio negli ormai celebri successi di Fall In Love e When I’m Small.
Si avverte insomma una differenza, e questa sarà confermata dagli altri pezzi di Ceremony: la melodia è più intensa, più drammatica, più sofferente, con meno beat e cattiveria e più densità emotiva. Si ha la conferma di questo, oltre che in Into Happiness, anche in Pedestal, piccolo capolavoro confezionato a metà strada tra Depeche Mode e Moby, dove Sarah ricerca sfumature vocali particolarmente sentite ed emozionali. Sarà perché anche questo disco, come il precedente Three, risente della drammatica morte della sorella Becky per suicidio, avvenuta appunto nel 2016 poco prima dell’uscita di Three.
Tuttavia Ceremony non è un album luttuoso o oscuro: al contrario, la sofferenza si avverte, ma come se fosse superata, affrontata, esorcizzata, sublimata.
Come la stessa Sarah racconta, per arrivare a questo la band ha scelto di lasciare il suo affezionato studio di registrazione dei primi dischi (Harmony Lodge, nello stato di New York) per registrare a Los Angeles, prima al Rancho de la Luna e poi in un nuovo studio fatto in casa da Sarah, da lei soprannominato Harmonie West. “Abbiamo consumato 8 anni in viaggio sempre. Tutte le mie cose sono state impacchettate per anni. Volevo cercare un po’ di conforto e tempo per apprezzare quello che succedeva intorno a me, un posto che potessi chiamare casa. La vita va avanti mentre sei nella bolla folle delle cose che riguardano la messa a punto di un disco, e quando la bolla scoppia ti ritrovi a raccogliere i pezzi. E una volta che ti fermi, le distrazioni scompaiono e tu rimani con una serie di sensazioni e sentimenti, che erano rimasti intrappolati nella bolla. Sono questi sentimenti che sono venuti fuori in Ceremony”.
La scelta di un home studio, e di una pausa di riflessione, ha certamente fatto bene alla musica dei Phantogram, che appare più matura, più profonda, anche se meno dirompente e meno arrogante di quello che si poteva ascoltare in When I’m Small o You Don’t get me High Anymore (singoli che hanno fatto il successo internazionale dei Phantogram, anche grazie ai loro video dove l’appeal esibito con forza da Sarah fa volutamente da padrone). Basti ascoltare uno di questi due pezzi e al confronto Let Me Down di Ceremony: si è passati dal voler ipnotizzare e scioccare con veemenza a una melodia che pur conservando la grinta delle chitarre e la rabbia vocale di Sarah, contiene qualcosa di sofferente, introverso, lacerante. E perciò più affascinante.
La band si può permettere perciò anche di sconfinare in un pezzo lento ipnotico e psichedelico come News Today, (peccato solo che sia brevissimo), o addirittura una vera e propria ballata pop come Glowing (troppo Lady Gaga però) poi ritornare al loro beat marchio di fabbrica con pezzi stupendi e magnetici come Mister Impossible o Gaunt Kids, vera antologia di quello che sono diventati oggi i Phantogram per astuzia musicale e capacità di intrigare.
Ceremony, la title track volutamente rilasciata alla fine del disco, col suo beat pulsante intorno al quale Sarah sussurra piuttosto che cantare, è un po’ il sunto di questo album e delle novità che contiene: complessivamente, un disco meraviglioso, funzionale dal primo minuto, in pieno stile Phantogram eppure suona fresco e nuovo e pieno di energia emotiva.
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autore: Francesco Postiglione