S. Biagio dei Librai, Napoli. Spicca un manifesto in bianco e nero, poco più che una fotocopia, del concerto degli Ulan Bator: questa sera al Velvet, tre stanze verde acido e rosso mattone dove la notte si riappropria con veemenza dell’intimità sudata sotto il sole di Pasqua, fascino sotterraneo. Il locale si riempie, il palco, oddio, il rialzo sul quale suoneranno è lì, un paio di metri forse, e quando il trio entra il pubblico deve farsi da parte per lasciargli un po’ di spazio: gomito a gomito, chitarra e basso, la Francia, la compostezza e l’intimismo, stridono col delirio mistico che sempre attanaglia Matteo alla batteria, nelle cuffie chissà cosa sente oltre al click, ma la sua faccia sottolinea ogni battuta, ogni controtempo con una mimica principesca; è da questa commistione che nasce una musica dolcemente battuta, a tratti rarefatta però meno personale e interiore delle ultime esibizioni. Maturità e qualità, dopo anni di affiatamento, si sprigionano a un concerto senza cali di tensione, e battiamo il piede anche durante i lunghi assoli di Amaury, senza noia, senza fretta, in un clima da sala prove più che da concerto, con lo stentato italiano (certo meglio del mio francese, sia chiaro) che insegue il dialogo con le facce che affollano l’orizzonte. “Beh, se volete facciamo un bis…” dà l’idea dell’umiltà di questi bravi musicisti ricchi di idee, che pescano poco dal passato, promozione certo ma anche convinzione della bontà della proposta, e suonano interamente l’ultimo album, con la gente che si scalda su Pensées Massacre, singolo in rotazione (con video), ma non lesina applausi, anche perché sono molti i brani di impatto dell’ultimo Rodeo Massacre e il pubblico è effettivamente preparato. La dimensione live calza a pennello agli Ulan Bator, molto più energici che nelle registrazioni, e la possibilità di improvvisare lascia spazio alla loro gioviale pazzia una per tutte dieci minuti di delirio del batterista che stacca un piatto e lo suona con qualunque cosa, testa pelata di uno spettatore compresa. E complimenti anche al locale, che praticamente in una cucina riesce a trovare un suono più che decente, senza quel rimbombo scatola che avrebbe tolto godibilità allo spettacolo. Grazie quindi, e per voi, se cercate un consiglio: ‘nnatece.
Autore: Pierpaolo Livoni