E’ triste dover constatare come, ancora una volta, proprio nell’ambito della musica elettronica – che, forse frettolosamente, siamo abituati a pensare come territorio privilegiato per la ricerca di nuovi stimoli e linguaggi sonori – emergano delle tendenze conservatrici piuttosto fastidiose.
Prendete questo disco di Eliot Lipp: l’ennesima produzione onesta, il cui ascolto si rivela un’esperienza sicuramente piacevole. Ma si può costruire un disco intero su due-suoni-due e quattro idee di seconda mano?
Lipp non fa altro che far viaggiare arpeggi vagamente “spacey” di tastiere e synth vintage su beat grassocci tendenti all’hip hop, piuttosto scontati, senza mai essere veramente incisivo, senza mai mostrare la ben che minima intenzione di sperimentare, o quantomeno lavorare su di una varierà sonora che possa sollevare il suo lavoro dalla monotonia in cui inevitabilmente sprofonda.
L’ennesimo disco carino ma semplicemente superfluo, in ogni caso difficilmente considerabile come più che un gradevole sottofondo.
Autore: Daniele Lama