‘Thunder Lightning Strike’ è un disco molto bizzarro partorito da una formazione che più che una band ricorda una delegazione di osservatori ONU, anche se di base nel Regno Unito. Il fondatore è infatti di Brighton, tale Ian Parton, visionario armonicista che ha radunato intorno a sé un manipolo di musicisti che rispondono ai nomi di Silke Steidinger dalla Germania alla chitarra, batteria, registratore e quant’altro è raggiungibile dalle sue dita, Chi Fukami, una batterista giapponese che occasionalmente usa a modo suo il microfono ed ancora il lungocrinito bassista James Bell, Sam Dook alla chitarra e Rob Winterson allo scratching, questi ultimi probabilmente australiani. Non è semplice spiegare cosa suonano i Go! Team se non provando a descrivere singole tracce, poiché in Thunder Lightning Strike niente è solo ciò che sembra, cioè ogni brano diventa qualcos’altro o meglio percorre contemporaneamente più strade anche molto distanti tra loro. L’iniziale ‘Panther Dash’ è caratterizzata da un tempo beat e da un’armonica e la sequenza di note ricorda la psichedelia da ‘garage’ dei Walking Seeds: lecito pensare che ci troviamo di fronte ad un manipolo di fricchettoni. Questo resta vero anche dopo, ma in tutt’altro senso, cioè nel clima generale e nello spirito più che nello stile. Infatti l’aroma iniziale di erba bruciata si stempera presto nelle fragranze ben più orientali di ‘Ladyflash’, sorta di quei Camper Van Beethoven periodo ‘Processional’ che ci prendevano sapientemente in giro con le loro astruse lezioni di folklore extracontinentale. Solo che a un certo punto dal violino dolcemente lamentoso e dall’ipnoide arpeggio sottotono si affaccia un coretto radiofonico a mò di easy-listening per bambini ritardati e un rappettino (credo sia la ninja) con tanto di scratch. Il brano finisce con magniloquenti archi da films di prima serata. La parentesi di ‘Feelgood By Numbers’ è una piacevole sigletta da telefilm americano anni sessanta di ambientazione campagnola. Non so se sia mai esistito in effetti un telefilm così ma un pezzo del genere al di fuori di questo cd non troverebbe un altro contesto. ‘The Power is On’ continua con una filastrocca/invettiva che si avvale di un rap corale sottolineato da una musica piuttosto drammatica di piano elettrico. I consueti arrangiamenti di archi e di fiati sarebbero ‘deluxe’ se i Go! Team non volessero un suono a bassa fedeltà. Get it Together’ piacerebbe a Devendra Banhart per quel suo spirito (mi devo ripetere) freak. Il merito di questo brano è soprattutto quello di riuscire a far apprezzare un elemento altrimenti detestabile da un punto di vista estetico-musicale: la musica andina (ergo i flauti peruviani che spesso ci intristiscono per strada incoraggiati dalle false filosofie new-age!!). Questo succede grazie ad un indovinatissimo incastro con un altro elemento folk poco riconoscibile se non per la sua matrice europea. Il tutto con una base di scratch ed effettacci vari mutuati dalla breakdance! Difficile da credere ma vero. ‘Bottle Rocket’ è una canzoncina per majorettes trionfanti e molto dopate. ‘Friendship Update’ mette davanti un suono di organo che, nonostante le tendenze vintage degli ultimi anni nella pop music, non si era ancora sentito e il motivetto semplice e genuino mette di buon umore e fa pensare ai bei tempi anche a chi i bei tempi non li ha mai avuti. Il gran finale di ‘Everyone’s a V.I.P. to Someone’ tutto giocato su un’alternanza tra strumentazione country a fiati e tastiere di gusto bacharachiano è spettacolare come un tramonto dorato che può esser goduto indistintamente da una verde distesa o da una nave da crociera. Un album che catturerà completamente la vostra attenzione ma senza tiranneggiarvi, bensì divertendovi.
Autore: A.Giulio Magliulo