Disco della consacrazione e della svolta artistica, Have you in my Wilderness permette a Julia Holter di raggiungere un pubblico più ampio e di distaccarsi un po’ dall’ultima generazione delle cantautrici ombrose dell’alternative nel quale si era inizialmente in qualche modo trovata con Soap & Skin, Zola Jesus, Lykke Li, Marissa Nadler, Sharon van Hetten e Jana Hunter.
Rispetto ai tre dischi precedenti della Holter, qui troviamo infatti una più accessibile musica pop, sofisticata, elegantissima, comunque un po’ malinconica e spiritata ma con brani più solari di alleggerimento, nella continua dialettica tra sontuosi arrangiamenti per archi e pianoforte ed una elettronica di contorno – ‘How Long?‘ – e talvolta un evocativo, ancora una volta malinconico andamento marziale à la ‘Us and Them‘ dei Pink Floyd – ‘Lucette Standed on the Island‘ – mentre su tutto si fa notare la scrittura musicale di Julia Holter, che mostra di avere un’idea estetica precisa in cui forma ed emozione rimangono sempre in equilibrio, senza cedimenti nell’uno o nell’altro (valga come esempio al riguardo la bella cover di ‘Chiamami Adesso‘ di Paolo Conte, che la cantautrice californiana ha inciso anni fa trasformandola in un algido flusso musicale alla propria maniera, ascoltabile qui: https://soundcloud.com/juliaholter/chiamami-adesso-paolo-conte ).
I testi della Holter poi si caratterizzano per toni poetici e per il ricorso frequente a simbolismi ed allegorie un po’ da interpretare; così probabilmente nel brano omonimo il verso che recita: “Oh, in your waters I’ve dropped anchor, you’ll see lightning cascading, pronouncements of our love” fa riferimento al superare le proprie paure, affidarsi a chi si ama, in un giuramento d’amore…
I singoli estratti dal disco sono stati fino ad ora la deliziosa ‘Silhouette‘ dal videoclip molto artistico girato con pochi mezzi, la solare ‘Sea Calls Me Home‘ dall’andamento sixties con un videoclip ripreso al mare, ‘Feel You‘, brano autunnale d’apertura del disco dall’andamento orchestrale con ritmica al clavicembalo e videoclip semplicissimo, in cui vediamo la musicista di Los Angeles che gioca col suo cane tra esterno ed interno per tutto il tempo ed ‘Everytime Boots‘, probabilmente l’episodio relativamente meno interessante del disco.
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autore: Fausto Turi