L’ultimo lavoro dell’ensemble canadese è affascinante e greve, meno enfatico del solito ma prolisso come i precedenti. I GY!BE mantengono alta la bandiera rivoluzionaria e anarcoide presentando questo ritorno discografico con queste parole: “Questo disco parla di tutti noi che aspettiamo la fine, tutte le attuali forme di governance sono fallite, questo disco parla di tutti noi che aspettiamo l’inizio, ed è informato dalle seguenti richieste: svuotare le prigioni, prendere il potere dalla polizia e darlo ai quartieri che terrorizzano, porre fine alle guerre eterne e tutte le altre forme di imperialismo, tassare i ricchi finché non sono impoveriti”.
Parole più che condivisibili alla luce dell’ulteriore arricchimento di pochissimi che hanno sfruttato la pandemia e dell’aggravamento economico di moltissimi.
Andando alla parte musicale, il disco si divide in quattro brani di cui due intorno ai venti minuti e gli altri due di circa sei minuti. Il loro stile, se caratterizzato come sempre da intrecci di chamber music, post-rock e progressive, in questo lavoro tende maggiormente all’implosione. I sali-scendi cui i canadesi ci hanno abituato sono maggiormente tirati.
“A Military Alphabet (Five Eyes All Blind) (4521.0kHz 6730.0kHz 4109.09kHz)/ Job’s Lament/ First Of The Last Glaciers/ Where We Break How We Shine (ROCKETS FOR MARY)”, dopo i primi cinque minuti di confusione e ronzii radiofonici emerge un sound denso che definisce l’orizzonte chiaro con un crescendo rassicurante ma che culmina con dei colpi di pistola che zittiscono gli uccelli.
La malinconia e un grande senso di vuoto caratterizza “Fire at static valley” in post rock denso, aperto e che scende in profondità senza ostacoli. “’GOVERNMENT CAME’ (9980.0kHz 3617.1kHz 4521.0 kHz)/ Cliffs Gaze/ cliffs’ gaze at empty waters’ rise/ ASHES TO SEA or NEARER TO THEE” è l’unico brano in cui prevale l’epica che oltre ad avere caratteristiche cinematiche è particolarmente densa e carica e dove non mancano momenti inquietanti compensati da fraseggi melodici e da chitarre evocative. Anche in “Our side has to win (For D.H.)” prevale una malinconia in crescendo nella quale si intrecciano noises, drone music, momenti vibranti e salite non faticose.
Un lavoro denso, pieno di sfaccettature, fondamentale perché in grado di essere portavoce di questa precarietà di vita e di paura del futuro che molti hanno vissuto e stanno tuttora vivendo.
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autore: Vittorio Lannutti