Frankie & The Heartstrings sono il caso tipico di quando dire indie-rock è dire tutto e niente. Vengono da Sunderland e sono al secondo album (il primo, Hunger, uscito due anni fa, si è piazzato al 32° posto delle classifiche inglesi), e si presentano in formazione rock classica: Frankie Francis alla voce, Michael McKnight alla chitarra, Dave Harper alla batteria e Steve Dennis al basso, con l’aggiunta recente di Mick Ross alla seconda chitarra e tastiere.
Il loro indie è una formula piuttosto vaga per ribadire solo la freschezza e la giovanile energia di quello che è in realtà un mix di stili: I Sill Follow You è un esordio spumeggiante di british pop-punk alla Futureheads e Kaiser Chiefs (non a caso sono stati supporter di entrambe le bands e i Futureheads hanno anche prodotto il primo album), è ancor di più lo è That Girl, that Scene, ma già con Nothing Our Way cambia tutto: il pezzo ricorda il pop raffinato ed elegante di Toto e Waterboys (Nothing Our Way è in effetti quasi un plagio di The Whole of the Moon). Segue Right Noises, un omaggio a vecchi classici tipo Edwyn Collins (anche lui presente fra gli sponsor della band), mentre Losing a Friend è una ballata malinconica e lenta, dolcemente arpeggiata con poche note di chitarra: a metà album insomma già si comprende che The Days Run Away è una gran ricca miscellanea di generi, di ispirazioni, ben tenute a galla da una sicura consapevolezza melodica e dalla voce armoniosa e pulita di Frankie, anche questa tipicamente british.
She Will Say Goodbye prosegue la carrellata di stili, deviando decisamente verso il pop: qui i ragazzi di Sunderland ricordano più i Prefab Sprout e in The First Boy gli Smiths, mentre Invitation ha il piglio rockabilly, e Everybody Looks Better (In the Right Light) torna al punk-pop degli inizi (ma è un punk-pop che rischia di scivolare verso le sonorità da boy band).
Il disco si conclude con Scratches, brillantemente introdotta da arpeggi di chitarra e da una batteria rullante, per un crescendo iniziale che punta a rendere la canzone il loro pezzo “epico”, e Light That Breaks, che dichiara definitivamente la passione pop introducendo anche il duetto sdolcinato con la voce femminile.
Complessivamente un album assolutamente godibile, anche se certo non innovativo né sperimentale. E nemmeno profondo, tutto sommato: Frankie si muove tra i generi che hanno reso il rock inglese classico e famoso, (e non sono certo generi di nicchia), a cui non aggiunge niente se non esecuzioni impeccabili e una spiccata propensione per la melodia e il romanticismo, che tradisce un po’ le premesse iniziali, tutte punk e aggressive, dei primi due pezzi, ma non tradisce il piacere dell’ascoltatore.
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autore: Francesco Postiglione