Che fatica star dietro ai film dell’Ermanno, lenti come bradipi in siesta, sospesi come aironi alla massima apertura alare. Però, diamo a cesare quel ch’è di cesare: que viva Ermanno! In “Centochiodi”, Olmi scava con paletta e secchiello, quindi con l’impudicizia e la fermezza dei bambini sulla spiaggia di Palinuro, un bel solco tra sé e il resto del cinema italiano, malato – ammissione di Avati – di autoreferenzialità, schiaffeggiato dalla formula fiction che impedisce di “pensare” il cinema. Si diceva di Centochiodi: il 76enne autore lombardo butta la palla fuori dal campo, ai match del cinema muscoloso e unto di sudori e alle competizioni del cinema cerebrale e aggressivo, preferisce ancora gli orizzonti ampi, il posato benessere dell’occhio vagante su messaggi reconditi e storie appartate. Non c’è “mercato” in tutto questo; solo monacale scienza dell’arte.
Il regista prende anzi ripesca chissà da quali mari Raz Degan, quello del liquore Yagermaister (“sono fatti miei…”), gli fa spezzare il pane, rendere grazie e benedire il Po e i suoi arcaici indigeni. Siamo al cospetto di un gesucristo 2007 anni dopo Cristo, anche un po’ FrancescodAssisi, che fa della frugalità e del dialogo con gli umili – beati gli umili, soprattutto se amanti del buon Sangiovese – la sua unica ragione di vita. Il tutto dopo aver conficcato cento chiodi in altrettanti libri ultrasecolari, patrimonio di una biblioteca che una volta era il suo regno. Testi, simbolo della progressiva corruzione intellettuale del mondo.
I piani sequenza si susseguono amabili, da sorbire lenti come fossimo appollaiati sulla terrazza di un bistrot d’estate. Il dialetto dei fittavoli emiliani crea un cordone familiare e popolaresco con i contadini dell’”Albero degli zoccoli”, capolavoro anni 70 del maestro in vernacolo bergamasco. Olmi scommette sulla purezza: solo riconquistando, attraverso i gesti più semplici e le parole più asciutte, uno stato di innocenza perduta riusciremo ad apprezzare (ed amare) il tesoro celato nella carezza di una fanciulla o in un caffè al bar con un amico. Cinema non falsificabile.
Autore: Alessandro Chetta