Fa strano pensare che uno come Giuseppe Peveri alias Dente, che è solito esibirsi davanti a folle di centinaia di persone, abbia un tono quasi timido quando lo chiamo per intervistarlo. E’ gentile e molto educato, ha solo un attimo di tentennamento quando gli faccio il cosiddetto gioco dei tre aggettivi. Mi avevano parlato di lui come una persona un po’ distaccata ma invece si è rivelato essere una sorpresa molto piacevole, con diversi aspetti inattesi. D’altronde, una persona che si è svegliata per trent’anni bestemmiando e che apprezza la musica anni Sessanta ed ha parecchie cose da dire, non poteva che essere piuttosto interessante. Lo incontro in occasione del suo live al Teatro Acacia di Napoli durante la fine del tour invernale dell’ultimo album Almanacco del Giorno Prima.
Iniziamo subito col tuo nuovo album “Almanacco del giorno prima”. Descrivilo con tre aggettivi.
Mio, nuovo, vecchio.
Perché “nuovo” e “vecchio”?
Perché è nuovo ma è anche percepito come una cosa retrò e dunque è anche in un certo senso vecchio. “Nuovo” e “vecchio” possono essere anche dei concetti senza tempo, che poi è la sfida che cerco. Ascolto molta musica del passato, mi affascina molto il mondo degli anni Sessanta, lo vedo come Atlantide, un momento quasi mitico che non tornerà mai più. Per me è strano pensarlo, visto che non ho vissuto quel periodo e forse è per questo che la mia immaginazione vola molto di più. Comunque non ascolto soltanto musica datata, non disdegno anche le novità, non sono un’estremista.
Infatti hai collaborato con i Selton con cui hai cantato anche il brano “Piccola sbronza”. Com’è stato lavorare con loro?
Conosco i Selton da diverso tempo, nel corso degli anni ci siamo incontrati in diverse occasioni e oramai siamo amici. Siamo entrati in contatto tramite Enrico Gabrielli, che è mio amico e ai tempi del loro primo disco, li aiutai con i testi. Ci siamo trovati bene e così ho collaborato con loro anche per questo secondo album. Lavorare con loro mi è piaciuto molto, sono ottimi musicisti e mi hanno insegnato tanto ed è stato bello perché, quasi senza accorgersene, sono stati capaci di farmi apprendere delle cose, insomma è stata proprio una bella esperienza. E poi mi piace il fatto che con loro la musica è sempre al centro dell’attenzione.
C’è qualche altro gruppo indipendente che ti piace o che segui?
Dico senza esitazione Massaroni Pianoforti. Il loro disco “Non date il salame ai corvi” mi è piaciuto moltissimo.
E a proposito di indipendenza, tu sei nato come artista indie per poi diventare più mainstream, con conseguente critica del tuo seguito. Come ti poni nei confronti di questa cosa?
Mi pongo come mi pongono davanti alla stupidità, quindi con un po’ di rabbia. Ho fatto il disco in totale libertà, senza contratti, in maniera autonoma e poi la Sony mi ha fatto un’ottima proposta e così ho affidato a loro l’album per la lavorazione. E’ andata in modo analogo anche per il brano che ho scritto per Arisa, che è nato due anni fa, benché sia uscito quest’anno. Credo che di questi tempi il distacco tra indie e major sia molto meno forte, sentito, rispetto a prima; Sony mi fa fare ciò che ho sempre fatto ed infatti non sono il solo indipendente a essere passato con una major. Tra l’altro sono convinto che bisogna sempre prima ascoltare un disco e poi giudicare, non viceversa.
Hai nominato Arisa, quindi non possiamo che fare un rapido riferimento al Festival di Sanremo. Negli ultimi anni tra i partecipanti ci sono state diverse voci fuori dal coro, ad esempio in quest’edizione c’erano i Perturbazione e The Niro. Tu ci andrai?
Non ci sono andato benché ne avessi avuto la possibilità. Non me la sono sentita e almeno per il momento, lo escludo. In realtà non volevo impelagarmi in troppi progetti, quindi ho preferito desistere anche se non dico di no a priori, magari in un futuro potrei partecipare.
Pensando a The Niro, mi è venuto in mente che come lui, anche tu hai esordito su Myspace. Com’è stata quell’esperienza? Ne hai tratto beneficio?
Ho iniziato con Myspace che mi ha aiutato molto a farmi sentire, esattamente come è successo a tantissimi altri cantautori o band all’epoca. Myspace dava la possibilità di comporre e pubblicare immediatamente un brano, un qualcosa che fino a quindici anni fa era impossibile e già solo per questo lo valuto come un’esperienza molto positiva. In più, tramite il sito, ho conosciuto anche Vasco Brondi, con cui poi è nata un’amicizia che dura tutt’ora.
Riguardo amicizie e collaborazioni, con Federico Dragogna dei Ministri e Gianluca De Rubertis de Il Genio hai creato I Calamari. Com’è nata l’idea del progetto?
L’idea in realtà è nata da F Punto, l’altro chitarrista dei Ministri. Alla base c’era l’intento molto bello di riportare in auge la canzone-cabaret un po’ surreale della Milano degli anni Sessanta, senza volgarità ma solo ironia, come facevano Enzo Jannacci o i Gufi. Al momento purtroppo siamo inattivi da un po’ ma è sempre divertente esibirsi con loro.
C’è qualche altro artista con cui ti piacerebbe lavorare?
Sono quasi tutti morti.
Questa è bella…
Nel senso che i miei artisti preferiti, quelli con cui mi piacerebbe lavorare, sono quasi tutti passati a miglior vita. Comunque, tendenzialmente le mie collaborazioni non sono mai calcolate ma nascono sempre da delle amicizie ed è anche bello che sia così.
E se potessi resuscitare qualcuno per una collaborazione?
Direi Sergio Endrigo.
Parliamo del tuo attuale tour, che hai scelto di fare nei teatri, location molto diversa dai club in cui ti esibisci di solito. Come sta andando quest’esperienza?
E’ molto diversa da altre situazioni, non sono facilmente paragonabili. Volevo andare in posti dove la musica si sentisse bene e fare uno spettacolo completo. In generale, mi piace molto il teatro, anche se mi rendo conto che la gente sia disabituata ad andarci e che l’idea di ascoltare un concerto da seduti per alcuni risulti in un certo senso spiazzante.
A proposito di tour, che cosa farai quest’estate? Sarai ancora in giro a suonare, hai qualche festival in programma?
Sarò sicuramente in giro a suonare, ci sono diversi eventi in ballo e certamente sarò impegnato in vari concerti.
Ti faccio una domanda lievemente più seria: che cosa ne pensi della crisi del disco? Pensi che ci sia una maniera per uscirne?
La vedo difficile, perché oramai siamo agli sgoccioli, nel senso che si vendono sempre meno dischi ma paradossalmente, si ascolta molta più musica di prima. Credo che ci sia da capire se il digitale avrà un futuro e soppianterà definitivamente il cd. Personalmente amo i supporti fisici e non riesco ad ascoltare musica digitale, anche se mi rendo conto che è meglio pensare al futuro, dal momento che tornare indietro è impossibile.
Lasciamo un attimo da parte la musica. Devo chiederti una curiosità: da qualche parte ho letto che hai detto di esserti svegliato per trent’anni bestemmiando… è vero? Ma soprattutto, come mai ti risvegliavi così burrascosamente?
Mi svegliavo per fare una cosa che non mi piaceva. Nella mia vita ho fatto tanti lavori, l’ultimo di questi è stato il magazziniere e nessuno di questi mi soddisfaceva. Sono quindi arrivato alla conclusione che la soluzione nella vita è svegliarsi felici, magari per andare a fare un lavoro che ci piace. Volevo fare qualsiasi cosa che mi rendesse felice e così mi sono trasferito dalla mia Fidenza a Milano per frequentare una scuola di grafica. Lì ho poi conosciuto delle persone che mi hanno spinto a dedicarmi alla musica, che è sempre stata tra le mie passioni. Così ho iniziato a farmi conoscere come cantautore e col tempo ho concentrato sempre di più le mie energie in questo lavoro.
Quindi non hai sempre pensato di diventare un musicista? Quando avevi vent’anni che lavoro pensavi avresti fatto?
All’epoca non avevo grandi aspettative sul futuro. Tendo a sottovalutarmi, quindi mi immaginavo a fare una vita normale, in un posto normale. Mi occupavo già di musica, però non credevo che sarebbe diventato il mio lavoro. Componevo già canzoni, le registravo ma le facevo ascoltare soltanto agli amici, non ho mai spedito un demo a un’etichetta.
E tra vent’anni come ti vedi?
Non penso molto al futuro a lungo termine. Spero di fare sempre questo lavoro ma comunque non sono mai sereno e di certo quella del musicista è un’occupazione precaria. Lavori con ciò che ti esce dalla testa, che poi potrebbe smettere di uscire da un momento all’altro, insomma non è facile. Nonostante gli aspetti negativi, penso comunque che la precarietà alla fine aiuti anche a stare a galla e questa sfida diventa una sorta di motore che ci spinge a continuare a produrre.
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autore: Veronica S. Valli