Il percorso artistico di Songs for Ulan è stato caratterizzato, in questi 7 anni, da una forte coerenza rispetto ad un’idea di musica notturna, romantica, nervosa, lateralmente americana, portata avanti senza il minimo cedimento, e questo nuovo, terzo, atteso album, che giunge addirittura a 5 anni dal precedente You Must Stay Out, lo dimostra malgrado, al contempo, le novità sul piano musicale ci siano eccome, e The Globe has Spun ci riconsegna un musicista, Pietro De Cristofaro, giunto ad una maturazione artistica ormai completa, che mette in pratica con efficacia ciò che vuol comunicare, e supportato – questo lo abbiamo verificato tante volte anche ai concerti – da una band di ottimo spessore ed esperienza.
Poi ovviamente possiamo star qui a chiederci come mai fino ad ora, all’attenzione della stampa indipendente, che compattamente coccola Songs for Ulan dall’ormai lontano Ep omonimo del 2004 – quello con la copertina verde e bianca – il nome Songs for Ulan non sia ancora uscito dal recinto degli appassionati e non sia giunto nei lettori mp3 del grande pubblico che segue la musica indipendente, e tuttavia pensiamo che le 10 canzoni di questo The Globe has Spun and we’re all Gone, con il suo folk blues dalla forma asciutta, dal linguaggio al solito sincero, e con le novità stilistiche che sorpassano di slancio la solita diatriba tra tradizione e modernità, possa fare giustizia.
Come nei dischi del passato, anche qui Pietro De Cristofaro lavora sull’alternanza di climi – intensi e grumosi rock blues dai suoni buttati lì, come la cazzutissima ‘From the Borders’, e intimi e scintillanti arpeggi campestri che frenano il ritmo (‘Like TV’) ma se possibile aumentano l’intensità emozionale – dando ad ogni passaggio del lavoro un certo pathos e costringendo quasi, chi ascolta, a non abbassare la guardia, a rimanere presente e in tensione; un disco cioè che l’attenzione la pretende, che lavora ai fianchi, nel buio denso e negli improvvisi squarci di luce che però feriscono.
Parlavamo di una maturazione artistica soprattutto perché qui diventa qualcos’altro il nervosismo trattenuto del passato (che comunque intravediamo, per esempio nella bella ‘A Promise’, o in ‘Hook’, che sembra una outake del selvatico disco omonimo d’esordio del 2004) così come la ricerca di soluzioni istintive, e i nuovi brani sembrano più ragionati a cominciare da ‘Little Queen’, o da ‘What’s Good Can Tell’, brano di punta, che è un rock blues arricchito da un assolo di chitarra elettrica sul finale, con una suggestiva voce filtrata che rimanda a certo jazz in mono anni 50, mentre dall’altra parte c’è la discreta presenza dell’elettronica che è una novità per Songs for Ulan, e la produzione di Cesare Basile è piuttosto presente, con suoni e ritmi talvolta sporchi e blues, talvolta limpidi. E poi i testi in inglese delle canzoni, più curati e narrativi che in passato.
Sappiamo che Pietro De Cristofaro è appassionato del repertorio di Johnny Cash, e mai come in questo disco emerge il carattere romantico e biblico di quel tipo di scrittura americana, soprattutto nei brani più folk e in ‘If it Be your Will’ di Leonard Cohen, col suo incedere scandito ed il testo fatalista e appassionato; poi va sottolineato come tra le pieghe del disco ci siano momenti importanti: ‘You only Love’ e ‘A Promise’, con il loro disordine, la doppia voce, e la ritmica che rimane eco lontana sono a seconda dei passaggi buone citazioni jazz, lascivi e alcolici rock’n’roll, poco evidenti ad un primo ascolto disattento a causa della dilatazione del ritmo, come pure merita attenzione la conclusione di ‘She’s a Ghost’, con interessanti soluzioni musicali che fanno pensare ad un theremin, o la poetica, sottilmente inquietante ‘The Bed’, in cui risalta la voce di Pietro De Cristofaro e il suo stile vocale borderline.
Songs for Ulan – “the globe has spun and we’re all gone” – 2011 by stoutmusic
Autore: Fausto Turi