I Motorpsycho sono una delle band più prolifiche della scena rock europea degli ultimi 35 anni, e ancora continuano a stupire con i loro dischi, sebbene non abbiano molto da aggiungere a quanto scritto in precedenza nei loro 31 album in studio, gli innumerevoli singoli ed EP, oltre a diversi album che riprendono le loro torrenziali esibizioni dal vivo, che hanno fatto del gruppo norvegese, uno dei maggiori gruppi di culto dell’epoca moderna del rock.
Da un paio di anni il gruppo oramai ridotto ai soli due membri fondatori Bent Sæther e Hans Magnus ‘Snah’ Ryan, ha deciso di ritornare nell’alveo dell’auto produzione, fondando una propria etichetta discografica (Det Nordenfjeldske Grammofonselskab) e curando ogni aspetto del disco: dalla composizione alla scelta dei musicisti che collaborano a secondo delle esigenze, dalla registrazione alla produzione, fino alla spedizione fisica dei dischi realizzati.
Non che avessero mai avuto limitazioni nelle scelte artistiche fatte nel corso di questi lunghi anni, ma solo per dare vita ad un nuovo corso della carriera dopo la conclusione dei contratti discografici con Rune Grammophone e Stckman Records che li hanno accompagnati per molti anni dopo gli esordi con la Voice Of Wonder.
Per il terzo capitolo di questa nuova fase, dopo Yay! (DNG 2023) e Neigh!! (DNG, 2024), i Motorpsycho scelgono per la prima volta di intitolare un loro disco in maniera eponima quasi a volere affermare che questo sia il vero capitolo di partenza di questa nuova era.
Così negli undici brani di questo nuovo lavoro, troviamo un concentrato di tutto quello che i Motorpsycho sono stati in questi quasi 40 anni di carriera: dalle incisive canzoni pop-rock, alle ruvidezze hard-grunge, passando per il kraut rock e le cavalcate psichedeliche, per finire nei meandri progressive degli ultimi anni, senza disdegnare di aggiungere qualche delicatezza acustica per spezzare il ritmo.
Un album che all’apparenza potrebbe sembrare disomogeneo, ma che in realtà suona meravigliosamente familiare, non solo ai fan di lunga o media data. Per dirla con le loro stesse parole: “I Motorpsycho non sono i migliori in quello che fanno, sono gli unici che fanno quello che fanno”. E per farlo in questo disco si sono avvalsi della collaborazione di un gruppo di grandi artisti provenienti da tutto il panorama musicale scandinavo: i batteristi Ingvald Vassbø e Olaf Olsen, l’arrangiatrice d’archi/violinista Mari Persen, la vocalist Thea Grant e, come al solito, il fido Reine Fiske. Motorpsycho è stato co-prodotto dalla band e dall’insostituibile Helge “Deathprod” Steen, e mixato da Andrew Scheps.
“Lucifer, Bringer of Light” apre in maniera egregia questo doppio album, con quasi 11 minuti di atmosfere che sembrano provenire da “Heavy Metl Fruit” (2010) con il basso di Bent che insieme al drumming di Ingvald Vassbø sorregge le sfuriate chitarristiche di Snah in un continuo rincorrersi di quei riff che hanno fatto la fortuna del gruppo di Trondheim.
Nella successiva “Laird of Heimly” Ryan e Sæther provano a dire la loro sulla situazione politica mondiale invitando a diffidare di tutti quei leader che altri non sono che dei truffatori, e lo fanno con una delicata ballata acustica, impreziosita da archi e percussioni per mettere maggiormente in evidenza il testo, rispetto alla musica.
Poi arriva il primo dei due singoli che hanno anticipato l’album. “Stanley (Tonight’s The Night)” è un solido ritorno al passato di quelle grandi canzoni in puro stile Motorpsycho che hanno creato il mito della band norvegese con album che venivano sfornati alla fine degli anni Novanta come “Blissard” e “Trust Us”.
Anche “The Comeback”, come suggerisce il titolo, è un altro tuffo in quel passato in cui i Motorpsycho sembravano una specie di enciclopedia del rock, capace di suonare qualsiasi genere in modo sorprendente: che fosse il country & western di “The Tussler” (1994) o l’hard rock in stile Led Zeppelin come in questo caso.
Lo strumentale per solo pianoforte e poco altro “Kip Satie” è una sorta di pausa che serve ad introdurre uno dei brani di punta del disco: “Balthazaar” un vero e proprio viaggio kraut-psichedelico capace di fare interagire Can e Neu con lo space rock degli Hawkwind con una ritmica ossessivamente ripetitiva sulle stesse note che spingerà band e pubblico nei tipici trip motorpsichedelici dei prossimi appuntamenti live che vedranno il gruppo di scena in Italia per quattro date tra il 9 e il 13 maggio prossimi.
Dopo questa lunga cavalcata e prima che arrivi il momento prog dell’album, tocca a “Bed Of Roses” aprire il capitolo folk del disco, anche se il brano a dirlo francamente, non passerà, a futura memoria, come uno dei capitoli da ricordare del loro canzoniere.
“Neotzar (The Second Coming)” è il classico monolite progressive che ha caratterizzato album dei Motorpsycho come “The Crucible” (2019), The All Is One (2020) e “Ancient Astronauts” (2022). Aperto dalla delicata voce di Thea Grant che sembra uscire da un’opera di Brecht, il brano si sviluppa in diversi movimenti in cui si passa da riff ossessivi, a momenti soffusamente delicati, quasi ambient, presto sostituiti da momenti che sfiorano il noise rock, prima che si torni prepotentemente ad una cavalcata acida in cui le chitarre di Ryan e Friske duellino senza soluzione di continuità.
Dopo essere stati messi a dura prova ecco che arriva il secondo singolo dell’album a rimettere “Motorpsycho” su territori più classici. “Core Memory Corrupt” è un brano che avrebbe potuto stare benissimo dentro “Timothy’s Monster” o “Angels And Demons At Play” con il suo incedere che rimanda alla memoria hit come “Starmelt/Lovelight”.
L’album si chiude con due brani abbastanza diversi tra loro. “Three Frightened Monkeys” riporta il disco in territori progr, mentre la conclusiva “Dead Of Winter” è una canzone di chiaro stampo indie rock che serve da camera di decompressione prima di rimettere su il disco e fare ripartire la giostra.
In conclusione, possiamo dire che questo eponimo dei Motorpsycho è uno dei migliori dischi prodotti da diversi anni a questa parte e con il tempo finirà per diventare uno dei classici album da menzionare quando si parlerà di una band così leggendariamente di culto come questa.
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