L’ennesima nuova positiva ventata di rock internazionale scuote Napoli: lontani i tempi in cui per fare musica a Napoli bisognava per forza cantare in napoletano, Hiding in Plain Sight, l’EP di esordio dei Right Place, band che si ispira senza se e senza ma al britrock di ogni tempo (dai classici degli anni ’90 come Oasis, Blur, Coral, fino alle esperienze più recenti di Arctic Monkeys e Libertines) è una nuova dimostrazione che a Napoli e nei dintorni ormai corre voglia di international sound.
La prima cosa che colpisce in questo lavoro è che le sette tracce sono più di un EP, anche se forse ancora meno di un disco vero e proprio. Registrato al LavaLab Recording Studio e mixato da Giovanni Vicinanza (Softone, Pennelli di Vermeer), il disco sciacqua i panni nel Tamigi con un mastering effettuato a Londra presso i Premises Studios (Blur, Suede) da Jason Howes, noto per il lavoro su gente come Dido e Faithless. E il risultato è davvero molto british: nessuno direbbe che la band è delle nostre parti, ascoltando sound, testi e pronuncia.
Da un lato, i quattro ragazzi di Napoli, capitanati da Eugenio Jube Mazzetti (voce, chitarra e leader del gruppo, a lui se ne deve la nascita nel 2009 insieme al bassista Giuseppe Pagnini), sembrano voler omaggiare nei loro sette pezzi tutti i gruppi che li hanno ispirati a far musica, per cui il disco sembra un ampio e articolato tribute al brit-rock.
Dall’altro, però, non mancano intriganti sfumature che deviano verso direzioni collaterali, testimonianza della sapiente preparazione musicale dei quattro, che nella formazione attuale reclutano Michele Ottaiano alla chitarra e Stefano Esposito alla batteria, scelta felicissima dopo l’avvicendamento di Fabio Caliento (Starframes e JFK e la Sua Bella Bionda) e Marco Della Gatta (Pipers e Monkers, tribute band degli Oasis).
Perché è proprio la batteria di Esposito, ottimamente spalleggiata dal basso di Pagnini, a reggere solidamente la trama articolata dei pezzi: dall’allegro e ritmato I can’t be Happy, ottimo singolo di lancio, alla dinamicissima Mind the Gap e alla strokesiana Two Fingers, al blues di I wish I was Fallin’away, fino a pezzi più cupi, introversi e malinconici, come Cherry, e the Man for all seasons. che rappresentano appunto quelle deviazioni intriganti di cui sopra (e qui Verve e Radiohead fanno capolino all’ascoltatore esperto).
L’Ep risulta così assolutamente completo dal punto di vista musicale, e questo lo rende qualcosa di più di un puro progetto di lancio: del resto la band, in soli due anni dal 2009, si è addestrata bene suonando in tutti o quasi i palcoscenici soliti (ormai molto pochi, sigh!) del circuito indie di Napoli e provincia.
The Right Place, anche se hanno ancora qualcosa da affinare nelle sfumature della linea vocale nei momenti musicali più intimisti e meno rock, e qualcosa da aggiungere alle chitarre in termini di synth archi ed effetti per rendere il sound più articolato e meno standard quando può servire, sono sicuramente lanciatissimi: le canzoni hanno una trama articolata, non ci sono schitarrate o virtuosismi fuori posto, l’ispirazione musicale non è banale, anzi sa addirittura scavalcare alcune delle band ispiratrici.
Un lavoro davvero ben fatto, nel complesso, che è senz’altro ottima carta di identità per i prossimi progetti del gruppo, che dopo aver suonato tanto nel 2011 per il tour di Hiding Plain Sight probabilmente si ritroverà ancora in sala per incidere il suo doveroso primo album ufficiale.
Autore: Francesco Postiglione