di Paola Randi, con Gianfelice Imparato, Saman Anthony, Peppe Servillo, Eloma Ran Janz
Into paradiso è un film fatto col cuore. Cuore, polmoni, fantasia. All’appello manca il talento. No, Peppe Servillo è un gigante, se pensiamo che di mestiere fa tutt’altro. E Gianfelice Imparato non è l’ultimo arrivato, e fa pure rima. Manca, volevo dire, la scintilla che amalgama il tutto e per magia per bravura? fa filare una trama, la rende accattivante, eccitante, mai scontata. Qui non è così. Ci piace – certo – la regia da tableau vivant, le animazioni in stop motion, i tetti crepati del quartiere Cavone di Napoli, la chiostra lucente su pelle d’ebano della gente di Srilanka. E poi – commedia per commedia – la regista esordiente Paola Randi riesce ad elevarsi, ma non ci vuole molto, dai, sulla pochezza strutturale dei Zalone e dei Qualunquemente (le cui prove equivalgono ai film di Franco e Ciccio: interpreti straordinari gettati a mare su un set privo di sceneggiatura, soltanto col copione).
A scricchiolare è l’impalcatura, che c’è sembrata d’argilla, fessacchiotta. Si sorride ma in fin dei conti è tutto parecchio bozzettistico. Servillo brilla ma viene sopraffatto dalla tracimante lentezza di Gianfelice Imparato (recitare con lentezza….); il bravo Saman Anthony si dibatte in un ruolo sagomato, senza sbocchi se non il clichè. Tante occasioni restano non sfruttate. Per dire, in conferenza stampa regista e interpreti si sono esaltati nel descrivere la telenovela, tanto da pensare di farne dei corti a parte: vai a vedere il film e scopri che la telenovela in questione, volontariamente trash e dunque poco efficace, viene montata a brevissimi sprazzi. Un piccolo cult mancato.
Autore: Alessandro Chetta