Memore di come i concerti a Milano siano soliti iniziare molto prima rispetto agli orari a cui sono abituato nella mia Firenze, mi sposto al Rainbow Club con largo anticipo anche perché mi aspetta un tragitto non breve da coprire prima in autobus e poi in metropolitana…. Qualche minuto dopo le 21 faccio il mio ingresso nel locale che si presenta ancora desolantemente vuoto: qualcuno davanti al bancone del bar ad ordinare da bere, qualche gruppetto seduto ai tavolini che circondano la pista centrale, qualcuno che preferisce ingannare l’attesa uscendo fuori per fumarsi l’ennesima sigaretta….
Siamo quindi pochi intimi coloro ai quali tocca sorbirci l’esibizione d’apertura di tale Vincenzo Cane (nomina sunt consequentia rerum?), una scelta assai infelice e per me del tutto incomprensibile: va bene valorizzare e dare possibilità a giovani emergenti, ma credo che in Italia ci sia un’infinità di musicisti e piccoli gruppi che meriterebbe la vetrina di un set di spalla agli Arab Strap molto più di questo volenteroso ragazzotto che imbraccia la sua chitarra elettrica (suonata anche discretamente, per carità) per accompagnare delle sconclusionate ballate blues tra il sofferto e l’auto-ironico….Ehm, personalmente non colgo né la sofferta ispirazione né la pungente auto-ironia ed anzi testi del tenore di “se mi concentro vado dritto dentro”, “e provavo una certa simpatia per i films western ma preferisco il neorealismo”, “la gallina dov’è, il pollo sono io” contribuiscono solo ad incrementare il mio consumo di birra…..
Durante tale strazio musicale, portato avanti per mezz’ora e forse più, le presenze sono andate aumentando pur senza arrivare a quel pienone che mi sarei aspettato come adeguata cornice di pubblico per accogliere sul palco gli Arab Strap. Ed eccoli qua: Aidan Moffat con la sua lattina di birra in mano, Malcom Middleton subito avvolto in un fascio di luce rossa alla destra del compagno, batterista, bassista e secondo chitarrista a completare l’organico. Mancano violino, violoncello e tromba che ormai siamo abituati a sentire tra le pieghe dei brani del gruppo scozzese, ed inevitabilmente gli arrangiamenti dei pezzi risultano un po’ più scarni ma non per questo meno avvolgenti. All’interno di una scaletta ovviamente centrata sull’ultimo “The last romance” a risultare maggiormente valorizzati sono episodi carichi di elettricità come “Stink”, “Don’t ask me to dance” e “Speed-date”, mentre l’occasionale apporto di Aidan Moffatt dietro percussioni ed organo aggiunge ulteriori sfumature all’insieme. Un concerto non molto lungo – in tutto, bis compresi, ci aggiriamo sull’ora e venti minuti – ma di straordinaria intensità, senza alcun calo di tensione, con il picco assoluto rappresentato dall’esecuzione di “New birds” da Philophobia – lungo recitato su palpiti di batteria ad introdurre il crescendo deflagrante delle chitarre – seguita a ruota dalle ottime “[If there’s] no hope for us” e “Dream sequence”. Nei bis spiccano una piacevole parentesi acustica tra la chitarra di Malcom Middleton e la voce di Aidan Moffat ed una travolgente “There is no ending” con il gruppo nuovamente al completo per raccogliere i meritati applausi finali.
Autore: Guido Gambacorta
www.arabstrap.co.uk