Mentre il mondo era lì a bersi come “rivoluzionario” il pop-psuedo-sperimentale dei bollitissimi Radiohead, nel sottobosco indie americano si facevano apprezzare, da una cerchia neanche tanto ristretta di appassionati, dai gusti un po’ più raffinati, dei bizzarri personaggi chiamati Animal Collective. Che piuttosto di tentare di auto-promuoversi con iniziative di marketing discutibili, pensavano piuttosto a raffinare la propria arte, interamente dedicata alla ri-definizione del concetto di “pop”. L’incredibile evoluzione della band, che ora può davvero essere considerata tra le più innovative in circolazione, ha raggiunto un livello notevolissimo con l’ultimo, stupefacente, “Merriweather Post Pavillion”.
Il disco custodisce un mondo multicolore, fatto di mirabolanti intarsi melodici e suoni impossibili che decorano canzoni dall’animo pop (ci sono quintali di Beatles e di rock 60’s, neanche tanto nascosti, tra queste tracce), malcelato sotto una patina fluorescente di psichedelia schizzoide, di natura quasi esclusivamente elettronica, dalla quale fanno capolino voci da folletti dispettosi ed effetti sonori che è inutile starsi a chiedere come siano stati generati.
Gli Animal Collective oggi non assomigliano ad altri che a sé stessi, la maturità della band è ormai consolidata, ed il loro stile particolarissimo è ormai digeribile anche da chi – come il sottoscritto – mal sopportava un certo eccesso di auto-referenzialismo che aveva contraddistinto fin qui la loro carriera.
“Merriweather Post Pavillion” è uno di quei dischi importanti, di cui ci si ricorderà a lungo. E se non fosse ormai una parola inflazionata, non avrei paura a parlare di capolavoro.
In Italia con due tappe:
13 marzo al Teatro Studio di Roma (con Pantha du Prince)
14 marzo al Rolling Stone di Milano (con Pantha du Prince)
Autore: Daniele Lama
www.myanimalhome.net