Non mi dire che non hai mai perso una giornata intera a giocare con gli strumenti giocattolo di tuo cugino-nipote-figlio piccolo.
Io personalmente ne fatti piangere, di bambini, sottraendo per ore intere dalle loro mani appiccicose bellissime tastierine made in china, coloratissime batterie elettroniche (alcune hanno dei pre-set mervigliosi), fintissime chitarre di plastica rosa etc…
E che c’entra questo con il disco di Miss Violetta Beauregarde? c’entra e come.
“Evidentemente non abito a San Francisco” è un disco registrato con tastiere da quattro soldi e “cantato” con microfoni da due soldi. Poco più che giocattoli, appunto. Con qualche drum-machine approssimativa, qualche effettino e forse un mixer un attimo meno precari, probabilmente.
E cosa ci combina – ti chiederai ora – questa Miss Violetta Beauregarde con le tastiere da quattro soldi e i microfoni da due soldi?
Ci suona il punk rock.
Ora non c’è bisogno di storcere il naso solo perché non ti ho parlato né di chitarre, né di basso e batteria, e ti tiro in ballo il punk rock. E – bada bene – non dico neanche “disco punk”, “electro punk”, “electroclash” o qualche altra definizione cool…
E le famose tastierine di cui sopra, allora? Semplice, Miss Violetta fa “punk rock-con-le-tastierine made-in-china”. Può andare, come definizione?
La Violetta smanetta e fa rumori. Urla e disturba. Lei si diverte come una pazza, senza curarsi delle possibili reazioni degli ascoltatori, probabilmente troppo impegnati ad aggrovigliarsi le cervella a cercare rassicuranti riferimenti più o meno probabili con questo o quell’altro genere musicale, per poter cogliere l’aspetto ludico, terribilmente auto-referenziale, che caratterizza queste sedici schegge impazzite (per un totale di venti minuti o poco più). I più snob non esisteranno a tirare in ballo le cose del catalogo Tigerbeat6: ma quella è gente cresciuta – o almeno così credo – a pane e musica elettronica… musicisti che vivono in simbiosi con i loro laptop. Gente che a casa non ha manco un disco dei Ramones.
“Evidentemente non abito a San Francisco” è invece pura imperfezione analogica, cazzeggio fine a sé stesso, ironia beffarda e caos fuori controllo. Certo, “I am a groupie fuck me” è una pop-hit. Ma è un caso isolato.
A me il disco è piaciuto parecchio (e no, non sono per niente un fan di jap-noise estremo), ma posso capire benissimo chi lo troverà insopportabile e irritante.
Per concludere, un consiglio: ascoltatelo mentre vedete “Amici di Maria De Filippi” col volume della TV abbassato.
Autore: Daniele Lama