An Early Bird ha superato il milione di ascolti su Spotify e nel 2023 ha aperto il tour italiano di Fink. Suona in egual misura sia in Italia che all’estero, e fa tour regolari soprattutto in terra tedesca, apre regolarmente concerti di gente come Jake Bugg, S. Carey, Jack Savoretti, Joshua Radin, Christopher Paul Stelling, Clap Your Hands Say Yeah e Scott Matthews. Canta in inglese e il suo genere è il post-folk, popolato, fra gli altri, da Kings of Convenience, Turin Brakes, Father John Misty, Lanterns on the Lake. An Early Bird però è italianissimo: si chiama Stefano de Stefano, è nato a Napoli ma vive a Milano.
A sola distanza di un anno da A Beautiful Waste of Time, in uscita per etichetta Awal, oggi pubblica Pitchfolk, un ironico riferimento alla nota webzine musicale (Pitchfork) nata nel 1995, gioco di parole tra l’amore per il l’indie folk e l’onere di vivere nel compromesso tra fare arte e adattarsi nell’epoca del pitch: (playlist e sincronizzazioni).
Ma fra i due estremi in bilico Stefano sa cosa scegliere: la sua prima traccia, Roll of the Dice, è una dichiarazione di intenti, tutta incentrata su chitarra acustica, voce, e armonica, nella migliore tradizione classico-folk.
Pitchfolk è fatto di 9 canzoni che giocano con il macro-genere della musica acustica, lo contaminano e lo rendono allo stesso tempo nuovamente vivo, nelle sue trame sonore sempre in bilico tra ethereal pop e dream folk, dove l’etereo e il dream sono in realtà profondamente dovute alla sua (quasi) voce bianca, particolarmente femminile senza diventare falsetto, come si ascolta particolarmente nella prima strofa di Lucid Dream.
La novità di questo disco rispetto al precedente (recensione di A Beautiful Waste of Time QUI) è il comparire, più fitto, di ritmi di percussioni e batterie. La canzone tipo di Pitchfolk non si regge dunque, come introdotto da Roll of the Dice, solo su chitarra armonica e voce. Già Lucid Dream, il secondo pezzo, cerca di contaminare con dream pop l’impostazione tipicamente folk dell’autore, che ritorna poi, con tanto di fischiettare introduttivo, nella schitarrata ritmica di Remain the Same, subito però poi accompagnata da pianoforte e appunto da batterie che non restano sullo sfondo, come nel disco precedente.
Facendo un confronto complessivo, si può dire che rispetto a A Beautiful Waste of Time questo nuovo Pitchfolk è decisamente più orchestrale e più pop.
Resta però sempre ostinatamente assente la chitarra elettrica: anche Same Ship ha infatti la sua trama melodica costruita esclusivamente su strumenti acustici e piano. La chitarra elettrica compare invece a sorpresa protagonista in You Kill Me Every Time, forse la canzone più pop del disco, e ancor di più in Quite a Find dove addirittura si ricorre al falsetto in certi momenti, e dove l’impianto batteria-basso-chitarre lascia del tutto andare i suoni acustici fin qui protagonisti. Some Good will Come, quasi come se il disco stesse richiamando il suo autore all’ordine, alla tradizione, ritorna decisamente acustica, ma solo per l’introduzione: anche questo pezzo esplode dopo la prima strofa in un sound orchestrale, dove la chitarra acustica e la armonica scompaiono.
Nella parte finale del disco, dunque, scompaiono del tutto i riferimenti classici musicali del genere folk, e An Early Bird cerca di tuffarsi nel ben più ricco e variegato mondo delle atmosfere dream pop: Plenty usa una base melodica di pianoforte, su cui si insinua un ritmo, blando, di batteria elettronica.
Watch My Fall invece congeda l’ascoltatore con un ritorno all’inizio del disco, ovvero una traccia prevalentemente acustica con armonica.
In sintesi, Pitchfolk vuole far fare al suo autore un passo avanti: è probabilmente il suo disco più strutturato, musicale, meno introverso e meno intimistico. Questo forse non piacerà ai fan della prima ora, legati più al post-folk di cui An Early Bird rappresenta (o rappresentava?) probabilmente l’unico esponente italiano.
Ma si sente, in fondo, che la maggiore confidenza, il suo ambiente armonico naturale in cui navigare, è per De Stefano il folk acustico. Basti pensare proprio all’ultima, stupenda canzone del disco, Watch My Fall. E’ nei pezzi acustici del disco, che sono qui la minoranza, che emerge maggiormente il suo talento, mentre non riesce a essere originale e profondo e altrettanto intenso quando canta e fa musica nei pezzi orchestrali e più strumentalmente completi, rischiando anzi in alcuni momenti di essere sdolcinato come solo il pop può essere.
Il talento non viene mai meno, e lo si gusta anche in questo disco così ricco di sorprese. Ed è in fondo la sorpresa e la sperimentazione che rendono alla fine gustoso l’ascolto anche per chi lo conosce sotto altre vesti sonore a lui più confacenti.
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