Personalmente sarei anche un pò stanco di bands storiche che fanno reunion al gran completo e di cariatidi che proprio non riescono a mollare, ma inserire Killing Joke in queste categorie sarebbe un grave errore.
E’grazie a questi signori che le forme più oscure di crossover dettano i canoni per almeno la metà dei sottogeneri rock che ascoltate da circa tre decadi.
La formazione originale si ricompone dopo 28 anni e va ben scandita nome per nome perchè qui si fa la storia: Jaz Coleman, Paul Ferguson, Kevin “Geordie” Walker e Martin “Youth” Glover.
La copertina potrebbe essere perfetta propaganda anti-Radio Maria: un cielo color apocalisse sotto il quale quattro antenne sporgono collocate su una grande croce di legno, pronte a cancerizzare nuovi poveri cristi.
Quest’album esce anche in versione deluxe comprendente un secondo cd di cover dei loro brani eseguiti – tra gli altri – da pesi massimi quali Nine Inch Nails, Helmet, Foo Fighters ecc. ma è soprattutto il contenuto del piatto principale a non deludere le aspettative.
“Absolute Dissent” apre le danze di guerra con tutto il suo immediato potenziale anthemico, inno di battaglia per questi giorni grigi, da cantare a pugno alzato e adatta ai dancefloor più nichilisti.
“The Great Cult” prosegue sulla stessa onda emotiva della prima traccia; un rifferama metallico sposta il rauco coro verso tematiche esoterico-religiose da sempre trattate da Mr. Coleman e qui più che mai riecheggiano gli inquietanti tam-tam di quella ‘Wardance’ dalla prima seminale emissione.
“In Excelsis” riporta a trame chitarristiche che aprono squarci celesti e rendono l’atmosfera meno claustrofobica ed oppressiva, così da poter essere cantata all’unisono in uno stadio anche da ottantamila papa-boys.
“Fresh Fever From The Skies” è qui a ricordarci del ruolo fondamentale che hanno avuto i Killing Joke nello sdoganamento del suono ‘industrial’ dalle cripte degli anni ottanta: la ripetizione meccanica, la sincope ritmica in loro si trasformano da nevrosi metropolitane a elementi anthemici.
Le ipnotiche “European Super State” e “The Raven King” sono distese di darkwave da far scomparire i diecimila emuli anemici ed androgini delle discoteche nere nella voragine di queste notti – come da titolo – profondamente europee.
“This World Hell” è il rantolo di un cane rabbioso; è il continuo affondare di lame nel corpo di questa società violenta e violentata; è l’esposizione della sua carcassa putrescente e scabrosa sotto luci al neon intermittenti.
“End Game” è una filastrocca maligna, tagliente e psicotica, martellante e nichilista, alla ‘Ministry’, singolare caso di padri che si affidano alla loro miglior prògenie, come accade anche in “Depthcharge” che olia e riaffila quelle macchine dagli ingranaggi stritolatutto; ormai quella voce al vetriolo sembra filtrata dai megafoni di una vecchia fabbrica con il bilancio sempre in attivo: quella dell’odio.
“Honour The Fire” è un atto di orgoglio, è una tregua gravida di tensione che prelude ad un’epica riscossa.
“Here Comes The Singularity” dopo tante tonnellate di acciaio, cemento e buoni sentimenti rivendica quasi una sua leggerezza da ‘bel giro’ di chitarra post-punk, di quei bei tempi tatcheriani che furono.
Si chiude con “12 Ghosts on Ladbroke Grove“, altro gran ricordo di affiliazione musicale: quella del punk con il reggae che poi si trasformò in post-punk con il dub: i Killing Joke han mantenuto le loro prerogative.
Conclusioni: siamo ormai tutti abituati a ben altri livelli di estremismi in musica; se quello che cerchiamo è oltranzismo tout-court allora troveremo in questo disco suoni anacronistici e dinamiche già ampiamente sviluppate, ma l’emotività e la passione che ancora trasudano dai Killing Joke sono tali da coinvolgere completamente, c’è forza nelle loro parole, il messaggio insito in quest’opera è indispensabile: dissenso assoluto!
Autore: A. Giulio Magliulo
www.killingjoke.com