Tornano i Mogwai, e per fortuna sono di nuovo i Mogwai! Dopo Atomic, album-colonna sonora di un film-documentario, uscito l’anno scorso e in fondo un po’ passo falso della band, con Every Country’s Sun, uscito l’1 Settembre per etichetta Rock Action, la band di Stuart Braithwaite torna alla musica splendida che l’ha resa famosa.
L’album è il primo in studio dopo Rave Tapes del 2014, e li vede riuniti al produttore Dave Fridmann (il disco è stato registrato nel suo studio personale, i Tarbox Road Studios a Cassadaga, New York) per la prima volta da Rock Action del 2001 e da Come On Die Young (1999).
Dunque, nessuna sorpresa che il sound sia quello più tipico del genere che in fondo gli stessi Mogwai hanno contribuito a far nascere, quel post-rock fatto di arpeggi di chitarra che diventano poi esplosioni di suono e di archi e di effetti, quel post-rock tendente all’epico che emoziona e fa sognare trasportando in mondi lontani.
L’esordio di Coolverine è pienamente in questo stile, Party in the Dark invece risente della collaborazione di Braithwaite con i Minor Victories (due membri degli Editors) perché intanto è un pezzo completamente cantato, cosa rara per la band, e poi perché le atmosfere sono proprio quelle del project work del 2016 omonimo, peraltro bellissimo.
Cantata è anche 1000 Foot Face, ma per il resto siamo al solito repertorio strumentale: Brain Sweeties, con l’esordio di batteria elettronica e synth, su cui si inserisce l’arpeggio di chitarra e poi ulteriori effetti, potrebbe essere addirittura didascalica nel descrivere lo stile unico e inconfondibile dei Mogwai. Così come è pienamente in stile Mogwai Crossing the Road Material, ma in fondo tutto il disco, senza eccezioni, salvo forse qualche tentata sperimentazione come in AKA 47, o 20 Size, che ammiccano all’icelandic, ricordando Olafur Arnalds e Sigur Ros (con i quali peraltro i Mogwai hanno avuto in passato collaborazioni e incroci).
Don’t believe the Fife e la stupenda Battered at a Scramble riportano il disco al percorso originario: esordio lento e misurato, per arrivare poi a metà pezzo all’esplosione sonora, epica e melodica come sempre. E’ il cuore dello spirito Mogwai: l’esplosione tutt’altro che annunciata del pezzo, con trame sonore che si dipanano da quella originaria verso tonalità, luoghi, direzioni impreviste e imprevedibili.
Old Poisons invece comincia direttamente cattiva, dura, con batteria in primo piano e chitarra distorta: l’album si conclude, alla grande, con la title track, ancora un’altra prova di melodia epica. Ed è stupendo sentire che dopo 11 tracce la band è tutta lì, ancora lì, ancora capace di emozionare e sorprendere, nonostante la scelta difficile dello strumentale, che certo rende più difficile interiorizzare le canzoni.
I Mogwai insomma ci sono in pieno, e, in sostanza, per i fan questo disco rappresenta una buona notizia, dopo il bel progetto con i Minor Victories ma lo smarrimento di Atomic, e per i fan italiani è ancor più una buona notizia che i Mogwai frequenteranno i club d’Italia quest’inverno tra Roma (Atlantico), Milano (Fabrique) e Bologna (Estragon) rispettivamente il 27,28 e 29 ottobre. Imperdibili!
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autore: Francesco Postiglione