Incontriamo i napoletani Katap, ovvero Fabio De Miero fondatore e anima di un collettivo sempre in evoluzione. Ci raccontano la loro storia e come nasce l’ultimo album “Bullet”.
Leggo che avete iniziato nel 2005, sette anni fa. Vorrei chiedervi, a tal proposito, cosa è cambiato nella vostra proposta musicale e cosa pensate sia cambiato intorno a voi in questi ultimi sette anni.
Le nostre produzioni iniziano nel 2005, ma il progetto nasce anche prima, in una vorticosa ricerca sonora, che andava da sonorizzazioni electro-punk, per capirci alla CCCP, per virare verso la jungle e la techno da rave. Nel 2005 invece tutto si è fatto chiaro, inseguendo sonorizzazioni elettroniche, più electroclash; avevo molto materiale musicale, e parte di questa l’ho fatta sentire ai ragazzi dei Planet Funk, che mi hanno proposto di pubblicare un vinile 12” della traccia My Trip. Da allora molto è cambiato, perché credo fortemente in una continua ricerca musicale, e che la fossilizzazione spegne spesso l’ispirazione. In quel periodo i nostri live, ad esempio, erano esclusivamente elettronici; oggi invece hanno preso una suggestione più electro’n’roll, molto più live. Ciò che è cambiato intorno è una crisi economica e del disco/cd, che ha mutato molto la comunicazione di un supporto sonoro. Trovo oggi i social network una possibilità interessante per pubblicizzare qualsiasi idea; un tempo si andava per strada a fare attacchinaggio sui muri della città; oggi basta spesso postare un evento e il gioco è fatto.
La scelta di affacciarvi per la prima volta sul mercato con un vinile, un “pezzo” di musica, nel senso più materiale del termine, ha una qualche tipo di motivazione legata alla vostra concezione della musica e, soprattutto, della fruizione di questa?
Per noi il fascino del vinile è intatto; ma la produzione di un disco 12” è stato un caso. L’etichetta dei Planet Funk, la Bustin’ Loose, in genere produce vinili, e My Trip, oltre ad avere la traccia originale, ha due remix dello stesso brano, dedicato al mercato soprattutto dei dj; ergo, era il supporto più ragionevole per arrivare alle consolle.
Passando ad Antiform, del 2007, il vostro primo disco: Notorious Heart è stata scelta dal MEI come uno dei brani più rappresentativi della scena indie italiana. Aldilà delle strategie di mercato, secondo voi cosa contraddistingue realmente un artista indipendente? C’è veramente una netta demarcazione rispetto al resto o quest’emorragia di musicisti indie è dovuta più ad una corsa allo status symbol?
La musica indie è un gran calderone. Prima nasceva contro un sistema esclusivamente di mercato forzato alla vendita, oggi persino grandi nomi di musica internazionale si auto producono, forse perché “fa più figo”. Ci ha fatto molto piacere di aver prestato Notorious Heart alla causa del MEI. Sia Antiform che Bullet sono stati prodotti dall’etichetta indipendente NUT di Napoli e dai Katap, e credo che sia un ottima palestra conoscere tutti gli step della produzione discografica, oltre al fatto di avere una grande libertà sulle idee e i tempi; ma spesso la musica indie, per gli stessi motivi, può cadere anche nell’aspetto più dozzinale, quindi credo che il massimo comun denominatore in qualsiasi produzione resti la professionalità.
Passiamo invece a qualcosa di più recente. Qualche mese fa è uscito Bullet, il vostro terzo lavoro “ufficiale”. C’è stato un momento che ricorderete per sempre durante la sua produzione? Una difficoltà che siete poi riusciti a superare ma che, inizialmente, sembrava insormontabile?
Rispetto ad Antiform, che ho praticamente registrato a casa e poi ho lasciato nelle mani di Vinci Acunto (che lo ha reso quello che è diventato); Bullet è stato un disco aperto; avevo voglia di coinvolgere più amici possibili. La cosa che ricordo sono stati i miei spostamenti tra Napoli e Milano, per registrare le chitarre di Massimo Cordovani, e l’apporto indispensabile di Vinci e Rosario Acunto, che ha reso la produzione artistica un costante muoversi tra suoni più live. Ci siamo molto divertiti, ma è stata dura, tante ore di studio per i mixaggi, ma era ciò che desideravo, fare un disco più punk, sempre elettronico, ma più sporco. Chi ascolta entrambi i dischi può sentire queste differenze.
In Bullet c’è un featuring di Massimo Cordovani. C’è qualcun altro con cui avete intenzione di collaborare in un futuro vostro lavoro? O magari qualche artista nel cui album vorreste lasciare un “segno”?
Oggi durante i live suono con Massimiliano Russo (chitarre elettriche) e Domingo Colasurdo (drums), e credo che il prossimo disco lo suonerò con loro. Ma non credo tanto nei featuring; Massimo Cordovani ha suonato come un membro dei Katap, così come Vinci, Rosario, Massimiliano e Domingo, in futuro. Questo perchè Katap, come dicevo, resta un progetto “aperto”. Credo nelle alchimie umane. L’essenziale è l’invisibile affinità sonora. Mi divertirebbe cantare in un brano dei Planet Funk.
Ovviamente, alla vostra produzione in studio affiancate anche un intenso lavoro dal vivo. Ci raccontate un aneddoto, qualcosa di particolare che vi è successa durante un concerto, negli ultimi sette anni?
Ne abbiamo viste tante in questi anni in giro; ma tra i live più divertenti ricordo, quello con Caparezza e quello del festival Kaleidoscope di Napoli, dove c’era Apparat. Può sembrare strano, ma spesso i ricordi di un tour, sono i viaggi improponibili, il costante rimbalzare da un posto all’altro, gli autogrill e la frittata di maccheroni, costante compagna di viaggio.
Sempre riguardo ai live: c’è un musicista in particolare con cui vorreste condividere il palco?
Mi piacerebbe condividere il palco con gli WhoMadeWho, che trovo molto freschi.
Se doveste condensare il sound dei Katap con due o tre aggettivi, quali scegliereste? E perché?
Credo che la musica dei Katap sia una musica di “trincea” e di “intrattenimento”. Perché fare musica è una costante lotta ma ciò che cerchiamo è la sospensione dell’ascoltatore; come dire, durante un nostro live occorre distrarsi dal resto e ballare, dedicarsi un’ora e mezzo a se stessi e basta, senza iperintellettualismi strani.
Ultima domanda, di ampio respiro e che abbraccia la musica in genere e non solo i vostri lavori. Perché iniziare a suonare? Cosa può spingere un artista alle prime armi verso la tortuosa e difficile carriera del musicista?
Consiglierei a tutti di imparare a suonare uno strumento perché arricchisce, a prescindere se si vuole fare dischi oppure no. Ciò che muove un artista è la passione, ed è solo quella che ti spinge ad ingoiare rospi, a fare sacrifici; perché chiunque potrebbe dirti che non glielo ha consigliato il dottore. Quello che mi indispettisce è la considerazione che in Italia si ha dell’arte; vista esclusivamente come un hobby, un passatempo, quasi come se nessuno avesse qualcosa da dire o mostrare. L’importante è non prostituire l’animo!
Autore: Alfredo “Alph” Capuano
www.katap.com – www.facebook.com/KATAP.project