Premetto che mi piace il nuovo corso di Ani DiFranco: i suoi dischi soul/funk successivi al 1998 sono interessanti e soprattutto coraggiosi: chiaro che Ani non se la sentiva di continuare per tutta la vita ad incidere dischi folk acustici rischiando d’esser relegata nel ‘tradizionale’; del resto, se a suo tempo la svolta elettrica la fece Bob Dylan (uno dei suoi modelli), perchè lei – considerata una moderna cantautrice impegnata – no?
Disco inevitabilmente autoindulgente, e tuttavia fa piacere ritrovarla oggi di nuovo come negli anni 90: folksiger freaky e fuori dagli schemi, che per incidere dischi si inventa una casa discografica a New York (la supersua Righteous Babe) e si autoproduce.
Il concerto alla Carnegie Hall del 2002 la vede esibirsi sul palco da sola con la sua chitarra tenore a 4 corde al collo, davanti ad un pubblico giovane che come al solito la adora; e lei scherza, fa battute, racconta esperienze ed ispirazioni – scopriamo così che ‘Gratitude’ è tratta da un deludente episodio di molestie che le capitò a Londra quando ancora non aveva inciso il primo disco –, poi recita una poesia intitolata ‘Detroit Annie, Hitchhiking’ liberamente ispirata da ‘Woman is talking to Death’, poema di Judy Grahn (“la mia poetessa preferita, tra quelle che al momento sono sottoterra!”) più due sue poesie in spoken senza chitarra; suonando al solito senza plettro alterna canzoni più lente ed arpeggiate ad altre molto violente, nelle quali il nastro adesivo in cui si avvolge le dita le evitano di distrurgersi a sangue le mani. Tra queste più sostenute spiccano ‘Out of Range’, ‘God’s Country’, lo strambo rag-time ‘In the Way’ e la storia lesbo ‘Two Little Girls’, il suo pezzo migliore di sempre.
C’è qualche classico che non poteva mancare, come la lettera al padre ‘Angry Anymore’, a sorpresa poi canta ‘Educated Guess’ che pubblicherà soltanto due anni più tardi, e c’è molta, molta politica: parla dell’America in ‘Subdivision’ (“prima ammettiamo i nostri errori, poi finalmente potremo aprire gli occhi”), ed in ‘Self Evident’ (“tre cose sono ‘self-evident’: la prima è che Bush non è il Presidente, la seconda è che gli USA non sono una democrazia, la terza è che i media mentono”; e tra gli applausi parla di Palestina e Iraq).
Dal suo repertorio recente prende metà della scaletta, spogliando però le tracce dagli arrangiamenti per gruppo e presentandoci le canzoni messe a nudo: a chi piace, a chi non piace, è il caso della lunga ed indigesta ‘Serpentine’ che uscirà pochi mesi dopo il concerto sul disco ‘Evolve’.
Autore: Fausto Turi