Serata dalle suggestioni “post rock” al Circolo, con l’avvicendarsi sul palco di tre formazioni la cui cifra stilistica si basa sì su stilemi già ampiamente collaudati da band più blasonate, ma non senza farlo con quel tocco di personalità che ogni buon gruppo dovrebbe avere. Non tragga in inganno però questo accomunare; le tre formazioni in questione differiscono per scelta estetica del suono, medesimo invece può essere il loro obiettivo: fascinare l’ascoltatore con atmosfere tese a creare emozione.
Aprono i Moka e inevitabile il pensiero corre ai Mogwai. La giovane band romana dimostra di aver bene appreso la lezione di Braithwaite e compagni, proponendo atmosfere care al quintetto scozzese, private però della loro tensione e potenza sonica a favore di un tessuto sonoro più raccolto e liquefatto. Impressione confermata anche dal loro ottimo lavoro in studio “I Plan on Leaving Tomorrow”. Un buon inizio di serata con un gruppo che si orienta su coordinate sonore poco personali, percorrendo strade già battute, ma che riesce a farlo però con grande maestria. Dalle strutture leggermente più complesse invece i Blueprint, anch’essi provenienti dalla capitale ma sulla scena da qualche anno in più. E’ facile lasciarsi andare nel paesaggio sonoro disegnato dai quattro sul palco, dove su ritmiche quasi math e un chitarrismo ipnotico e onirico che ricorda i Piano Magic più post, intervengono suggestivi inserti di sinth a creare una strana fascinazione malinconica e a regalarci tra i momenti più intensi dell’intera kermesse. Peccato per la breve durata della loro esibizione, ma non c’è tempo, è arrivato il momento dell’attrazione principale.
Salgono sul palco i texani “Explosions in the Sky”. Come consuetudine del combo americano la partenza è delle più dolci e delicate possibili, con lievi arpeggi di chitarre su ritmiche appena accennate. E’ solo l’inizio del loro show inteso come unico grande brano senza apparente interruzione fra un pezzo e l’altro, in un perenne stato di sospensione. Condizione in cui l’ascoltatore viene condotto e lasciato in uno stato di trance, per poi essere improvvisamente e bruscamente destato da scosse telluriche di violento noise per una catarsi che paradossalmente non arriverà mai. Ci si ritroverà nuovamente ripiombati in quella forma catatonica iniziale, e tutto sarà destinato a ripetersi all’infinito in un viaggio dalla struttura circolare ipnotica e astratta. Un’ideale colonna sonora per “un’esplosione nel cielo”.
Autore: Giuseppe Gentile