Ha ancora qualcosa da dire l’Elephant 6 collective o ciò che informalmente e disorganicamente gli si è sostituito? In effetti la “pressing plant” di tutta la discendenza di Robert Schneider (mainman degli Apples In Stereo) non ha mai interrotto il suo ciclo produttivo, anche se è bene fare dei distinguo qualitativi, e tenere sopita, per non imbattersi in cocenti delusioni, ogni velleità di avventurarsi nei nuovi – e degni – successori di un Olivia Tremor Control o musicisti di pari rango. Ci si deve accontentare, quindi, ma non escludere del tutto la possibilità di fare piacevoli incontri.
The Late B.P. Helium, per esempio. Proviamo a immaginare questo progetto tendenzialmente solista di Bryan Poole (un passato al servizio di Great Lakes, Elf Power e Of Montreal) come a un’uscita serale in compagnia di amici di amici che speriamo di reincontrare, ma senza pensarci troppo. Poole, coadiuvato da un’accolita di soliti noti (come definire altrimenti, tra gli altri, gli “olivians” Peter Erchick ed Eric Harris?), non si concede esclusivamente agli arcobaleni pop di marca Beach Boys-Byrds, anzi, pare trovarsi molto più a suo agio con certo nervosismo mod-beat di britannico pedigree, e lo mette in chiaro fin dall’effervescenza dell’iniziale ‘Belief System Derailment Scenario’, che fa quasi pensare a Tony Borlotti e i suoi Flauers, pensa un po’.
Per le cose migliori però bisogna aspettare un po’, ma non è questione di molto: ‘The Ballad of Johnny Rad’, # 3 in tracklist, non sfigurerebbe in un best of dei Supergrass (oddio quant’è pedissequa, però…), mentre ‘Curse of the Trial’ è un inchino agli Who.
Ma sono in generale tutti i 40 minuti scarsi di “Amok” che grondano di caschetti, giacche a 3 bottoni e polo Fred Perry, ed è un drittone Bryan a chiudere con l’impennata kinksiana di ‘Raisa Raisa’, giusto per congedarsi dall’ascoltatore in modo che quest’ultimo resti con la bocca buona. E magari ci faccia un pensiero alla prossima, eventuale birra con questo tipo…
Autore: Bob Villani