Ovviamente c’è techno e “tekno”, e i radicalismi nelle singole fazioni vanno dall’“indaclub” agli eventi organizzati nel ventre, nascosti ai più. La venatura elettronica sparata dai bassi è quella che dal 1994 in poi si è sempre più avvicinata ad una Detroit spinta e finanche ad una minimale in chiaroscuro.
La cultura invece è quella che affonda le radici in terre lontane, dove la techno ormai è stata rimpiazzata da generi in voga negli anni Ottanta o convertita a battiti più violenti.
Più lentamente rispetto a Roma e a Milano ma negli ultimi quattro anni anche nel sottosuolo napoletano qualcosa si muove. Qualcosa di elettrizzante, dal gusto europeo, che fa vibrare le gambe e richiama ai ritmi londinesi e berlinesi.
Dal “festino house” delle disco del litorale domizio la tendenza a Napoli passa alle feste organizzate da agenzie di booking quotate che hanno fatto sbarcare ai piedi del Vesuvio artisti del calibro di Dave Clarke, Richie Hawtin, Sven Vath, Jeff Mills, Laurent Garnier, Chris Liebing, Monika Kruse, Dj Rush e Miss Kittin.
La fase embrionale si genera nell’underground, come agli albori, sino a riscoprire la passione per i ritmi selvaggi, hardcore, rintracciabili nei “clubs” (o buchi) del centro storico o per la prima volta negli stabilimenti balneari flegrei.
Un panorama, quello della musica dance elettronica napoletana, che viaggia dai 140 ai 190 bpm spesso scaricati a cassa dritta, mutato di pari passo alle tendenze e in grado di spodestare dal suo legittimo feudo un genere ormai decennale in città come l’house, portando alla ribalta anche l’hard-techno rivisitata alla maniera francese (Frenchcore) e sheakerata con gusti che provengono dal nord-est europeo. Merito dell’ascesa del fenomeno clubbers e degli events, invece, va senza dubbio ad Orbeat e ad International Talent, gruppi di booking che hanno scoperto e lanciato dj di casa nostra ormai arcinoti ai technofili di mezzo mondo (Markantonio, Rino Cerrone, Davide Squillace e Gaetano Parisio i cavalli di razza), e traghettato gran parte della tribù che un tempo ballava ai ritmi delle serate promosse da “Angels Of Love” nell’inferno della techno.
La serata dance elettronica targata Napoli diventa così un prodotto di qualità, da esportazione, che arriva sulle piste dei locali più rinomati grazie alla mediazione con promoter attivi in tutta Europa. Di questa rivalutazione del genere ne fa parte anche la Recovery Events (storico gruppo di booking italoamericano che nel ’92 portò in Italia un giovanissimo “Plastikman”) tanto da trasferirsi di nuovo a lavorare sotto al Vesuvio. Recovery di recente ha organizzato una serata interamente dedicata agli amanti della techno puntando sul dj Darren Price e Nus Klue, e dando spazio a nuove leve del panorama nostrano: interessante trio napoletano Silicon Dust portano sotto i riflettori delclub una techno dal sapore elettronico, simile per certi versi allo stile dei Kraftwerk, dei Chemical Brothers e dei Daft Punk, e alla scuola dei padri fondatori della Techno Detroit, saggiamente mescolata alle vibrazioni delle batterie elettriche e sofisticati controller melody. «Il nostro progetto è nato nel 2006 – racconta Claudio “Naro”, componente dei Silicon Dust – ed ognuno di noi ha portato con sé un piccolo bagaglio musicale che va dal rock al jazz, passando per la fusion. «È come se ci fosse un ritorno ai “Party Recovery” tipici degli anni ’90 – gli fanno eco Gianluca “Spin” e Renato “Rebr” – bisogna sempre però sempre scindere da serate live, come quelle che facciamo noi, ad altre “di nicchia”, che richiamano più alla minimal che alla techno tradizionale». Ed è proprio questa sfumatura che apre ad un secondo filone del genere che richiama la massa. La techno minimale ormai domina la scena delle serate commerciali, e locali come l’Underbridge, o disco da grosse cifre come il Golden Gate, puntano le proprie fiches su nomi nuovi per i napoletani che amano i battiti più soft, come quelli di Tony Rohr o di Alex Under. Ma il prodotto doc campano, anche in questo caso, non è da meno, e artisti come Sasha Carassi e Tony Matt entrano sempre più nelle agende dei promoter del weekend elettronico.
Artisti e dj più o meno noti, dunque, che si auto producono per lanciarsi sul mercato discografico, oppure accedono a label on line che stanno prendendo rapidamente il posto dei canonici canali di distribuzione. Dalla più famosa “BeatPort”, vetrina virtuale mondiale per i gruppi di dance elettronica, si passa ad una costellazione di etichette indipendenti, libere dai terreni paludosi delle prassi legali, come la napoletana UpTurn. Elettronica minimale, techno Detroit e generi sempre più simili alla breakbeat inondano così un mercato libero, dove i buyers hanno la possibilità di scegliere il prodotto senza finire per essere intrappolati nella logica della vendita commerciale.
Ma l’abbiamo detto subito: c’è techno e “tekno”. C’è anche quella scritta con la “k”, che picchia, martella, portata avanti da “Tribe” che si muovono nell’ombra e che richiamano all’appello centinaia di adepti figli della cultura cyberpunk incanalatisi poi nella Rave Generation. Quella che elude i canali di vendita e le etichette, da un paio di anni suonata in modo crudo nei centri sociali di mezza Italia e che viene supportata da siti web pirata divenuti ormai legali come “ShockRaver” (shockraver.free.fr/home.htm). E la techno hardcore, nel 2008, inizia a “tirare” anche in luoghi dove solitamente rock e metal la fanno da padroni indiscussi. Dj Squarter, al secolo Valerio Cappelli, 26 anni, producer e live performer dallo stile massimalista, spazia nelle sue serate dalla breaks all’hardfloor, fondendo techno, schranz, dnb, hardtechnno in un live-set ad alto impatto sonoro. Per la prima volta, con una joint venture composta da dj ed artisti underground, riesce a portare di venerdì sera in uno storico club napoletano, il “Jail”, la “tekno” con la K.
Roba forte, quella hardcore, che nelle principali città italiane viene spinta dal basso, dai centri autogestiti, come il “Forte Prenestino” e il “Villaggio Globale” nella Capitale, oppure nello storico “Leoncavallo” di Milano. Negli spazi occupati di casa nostra, come “Officina 99”, si cerca di dribblare l’hardtechno, preferendo proporre ad un pubblico “alternativo” serate e festival di musica elettronica oppure più simili alla Jungle e alla Drum & Bass. «La techno non appartiene alle radici culturali a cui fa riferimento il nostro centro – spiegano i militanti dello stabile di via Gianturco – preferiamo non distaccarci troppo da generi come la Dub, il Reggae o lo Ska che sono certamente più vicini alla nostra storia». I fatti intanto parlano chiaro, e dimostrano che un’intera generazione chiede a gran voce ritmi più veloci, contemporanei, che richiamano alle strade delle grandi città europee e ad una scena in continuo sviluppo. Napoli, a piccoli passi, inizia a diventare uno dei centri nevralgici della techno internazionale.
Autore: Davide Gambardella
www.orbeat.com – www.angelsoflove.it – www.internationaltalent.it – www.groovesensation.it – www.myspace.com/minimalismi – www.analytictrail.net – www.myspace.com/flyawayfriends