Qual è l’approccio corretto per recensire il nuovo album dei Rolling Stones, trattandosi della più grande rock’n’roll band del pianeta e, allo stesso tempo, del tuo gruppo preferito di sempre? Come ci si deve avvicinare al ventiquattresimo album in studio della formazione londinese, il primo senza lo storico batterista Charlie Watts? Quali aspettative avere o non avere sul nuovo album di una band che ormai da molto tempo si è trasformata in un brand? Sono tutte domande che legittimamente pulsano nella testa del recensore prima di mettersi all’ascolto di “Hackney Diamonds” (Polydor), album per cui un battage promozionale senza precedenti ha creato un gigantesco hype attorno ai Rolling Stones come non avveniva dalla fine degli anni Settanta. Procediamo per gradi, allora.
Da un punto di vista romantico sarebbe stato perfetto se Jagger e compagni avessero deciso di concludere la loro carriera con “Blue & Lonesome”, il disco di cover blues del 2016. Sarebbe stata l’ideale chiusura del cerchio per un gruppo partito nel lontano 1962 proprio per portare il verbo del blues ai giovani inglesi bianchi. Chi conosce la storia sa, però, che “Blue & Lonesome” nacque come un piacevole incidente di percorso, dal momento che la formazione londinese si era ritrovata in studio per incidere un nuovo album di inediti. Solo che durante le “prove di riscaldamento” Jagger aveva suggerito una canzone blues e poi un’altra e poi un’altra ancora e il produttore Don Was non si era fatto sfuggire l’opportunità di registrare quei brani, finché l’idea di realizzare un intero disco di tributo agli artisti che avevano segnato la tarda adolescenza di Mick Jagger, Keith Richards (e Brian Jones) non aveva preso il sopravvento, finendo per far accantonare l’idea di un vero nuovo album. Da allora a oggi sono trascorsi sette anni in cui è successo di tutto: la pandemia, la malattia e poi la morte inaspettata dell’amato Charlie, la cui assenza è la prima grande novità di “Hackney Diamonds”.
Ecco, chi scrive pensa che sarebbe stata una scelta onorevole quella di dare l’addio alle scene dopo la scomparsa di Watts, non fosse altro perché con lui non se n’è andato soltanto uno dei membri originali ma anche l’asse portante del sound Stones, quell’inimitabile incastro ritmico tra la sei corde di Richards e la batteria.
Avendo deciso di non gettare la spugna, contando – a quanto pare – sulla benedizione dello stesso batterista, le Pietre Rotolanti hanno pensato di fare le cose in grande, come e più delle ultime volte. Alla veneranda età di ottant’anni (peraltro portati benissimo nel caso di Jagger, Richards li compirà il prossimo 18 dicembre, mentre il “giovane” Ron Wood ne ha 76), sanno che con ogni probabilità questo sarà il loro ultimo album in studio. Il loro testamento, il loro addio.
“Hackney Diamonds” vede dunque una serie di ospiti di grande livello – Paul McCartney, Stevie Wonder, Elton John e Lady Gaga – e soprattutto le ultime registrazioni di Charlie Watts, presente in due canzoni, “Mess It Up” e “Live By The Sword”, le cui basi erano state incise prima della pandemia, già nel 2019. Nella seconda si ricompone virtualmente la storica sezione ritmica con Bill Wyman chiamato, per l’ultima volta, al basso.
Trattandosi del primo disco di inediti da “A Bigger Bang” del 2005, con una parata di stelle lungo tutta la scaletta, il marketing ha avuto gioco facile nel creare un’attesa spasmodica con azzeccate mosse pubblicitarie. La prima delle quali è stato comprare uno spazio su una piccola testata locale, la londinese Hackney Gazette, in cui, pur senza annunciare nulla, si faceva trapelare l’uscita di nuovo materiale degli Stones tramite una serie di indizi che rimandavano direttamente a Richards e soci. Poi il lancio del video del primo singolo, “Angry”, e la conferenza stampa in diretta streaming mondiale proprio in un teatro di Hackney con il celebre conduttore televisivo e attore Jimmy Fallon. Infine lo show a sorpresa al The Racket di New York con Lady Gaga nuovamente special guest. Hype alle stelle, giudizi osannanti da più parti e il solito gruppuscolo di bastian contrari a prescindere. Ma veramente “Hackney Diamonds” è questo capolavoro? O è davvero un disco orribile come sostengono in pochi?
A essere veramente orribile è la copertina, opera dell’animatrice digitale Paulina Almira, ma – vogliamo dirlo? – gli Stones non ne azzeccano una decente dai tempi di “Some Girls” del 1978.
Prodotto dal giovane Andrew Watt che cofirma anche tre brani, “Hackney Diamonds” presenta dodici canzoni ammantate da un sound che strizza l’occhio alla contemporaneità e il cui ventaglio copre tutte le sfumature dell’universo Stones, almeno quello più recente: ci sono pezzi tirati, altri più radio-friendly, ballate, la solita canzone cantata da Keith, episodi dalla marcata componente soul. Non tutti sono all’altezza della loro fama e pochi lasciano davvero il segno. Manca, ad esempio, il classico brano-killer che i Rolling Stones hanno sempre sfornato in ogni disco. Senza andare all’epoca d’oro, ma fermandosi al precedente album di inediti “A Bigger Bang” – che, a conti fatti, è un disco nettamente migliore – non c’è una “It Won’t Take Long”.
Allo stesso tempo, però, “Hackney Diamonds” scivola via senza intoppi e con qualche picco, a far storcere il naso è solo una canzone. Considerato che si tratta di un gruppo di ottantenni che hanno già dato il meglio in gioventù marcando a fuoco un’epoca, la cosa è di per sé positiva.
Il singolo apripista “Angry”, piazzato strategicamente in apertura, è più inutile che brutto, mentre la successiva “Get Close” si muove sinuosa per poi cedere il passo alla prima bella ballata, “Depending On You”. Un attimo di romanticismo prima che arrivi l’inaspettato punk di “Bite My Head Off”, con il basso ultra-fuzzato del baronetto McCartney.
Il suono patinatissimo e volutamente radiofonico di “Whole Wide World”, che non sembra neppure una canzone degli Stones ma piuttosto uno dei tanti episodi anonimi del Jagger solista, è l’unico vero neo di “Hackney Diamonds”. Ma, superato questo scoglio, l’album riprende quota con “Dreamy Skies”, ballad dai sapori country che riporta le lancette indietro nel tempo. In “Mess It Up” e “Live By The Sword” c’è la batteria di Charlie Watts e, nel secondo e migliore episodio, anche il basso di Bill Wyman e il piano di Elton John: un bel mid-tempo con la band che rocknrolleggia a dovere. Se “Driving Me Too Hard” è il classico episodio che svela il romanticismo degli Stones sempre celato sotto la scorza da rocker, “Tell Me Straight” – con Richards alla voce – è notturna e minimale. Uno dei momenti salienti dell’album, che arriva al suo apice con la successiva “Sweet Sounds of Heaven”: sette minuti e ventidue secondi di magia soul-gospel con il pianoforte raffinato e mai invadente di Stevie Wonder e il duetto vocale tra Jagger e Lady Gaga sugli scudi. Mentre la chiusura è affidata a una bella versione di “Rolling Stone Blues” di Muddy Waters, il brano da cui il gruppo prese il nome sessantun anni or sono e che oggi sembra essere messo lì apposta come sigillo a una carriera straordinaria che con ogni probabilità si conclude qui, almeno sul versante discografico. Non con un capolavoro e neppure con una prova deludente, come in molti temevamo, ma con un album più che dignitoso per quella che per lungo tempo è stata davvero la più grande rock’n’roll band del pianeta.
https://rollingstones.com/
https://www.facebook.com/therollingstones
https://www.instagram.com/therollingstones/
Primavera Sound Porto 2025, una line up migliore di Barcellona
Annunciata la line up del Primavera Sound Porto 2025: Charli XCX, Jamie xx, Fontaines D.C., TV on the Radio, Turnstile,...