Lorenzo Woodrose, la mente dietro ai Baby Woodrose, è un musicista instancabile e prolifico. In neppure dodici mesi dall’uscita dello splendido “Love Comes Down” ha trovato il tempo per pubblicare un nuovo disco con la side-band Dragontears, per produrre l’interessante debutto di The Setting Son e per tornare in pista con il quarto album dei Baby Woodrose.
“Chasing Rainbow” segna il ritorno della formazione di Copenhagen in casa Bad Afro, l’etichetta che sin dall’inizio ha accompagnato le mosse del trio danese.
Dopo il più solare “Love Comes Down”, i Baby Woodrose si immergono nuovamente nel magma incandescente della psichedelia e tirano fuori il loro disco più lisergico. Strumenti vintage, produzione rigorosamente analogica e un gusto per la sperimentazione tipico dei tardi Sixties (i nastri girati al contrario, per esempio) sono gli strumenti che il terzetto usa per regalarci una manciata di nuove gemme affascinanti e psicoattive.
Dalle iniziali e bellissime “Someone To Love” e “I’m Gonna Make You Mine” il gruppo danese ci conduce in un lungo viaggio caleidoscopico e ricco di colori cangianti. Se “Let Yourself Go” mette in mostra una fantastica accelerazione ritmica degna di “Money For Soul” (il loro capolavoro assoluto), “Twilight Princess” è un episodio meditabondo in cui le distorsioni della chitarra elettrica scivolano nella cascata di note della dodici corde acustica. “Lilith” è una ballata dai toni romantici, “In Your Life” mette in mostra sitar e atmosfere orientaleggianti. Mentre la title-track “Chasing Rainbows” sintetizza alla perfezione tutte le anime dei Baby Woodrose, quella lisergica e visionaria e quella più profondamente rock, in un episodio dalle tinte forti. Ma non è finita perché con “Dark Twin” e la successiva “Renegade Soul” si apre un vortice sonoro che risucchia l’ascoltatore in un vero trip lisergico, perfetto apripista per la conclusiva, lenta e ammaliante “Madness Of Your Own Making”. Nessun dubbio: sono i Baby Woodrose la punta di diamante del rock psichedelico contemporaneo.
Autore: Roberto Calabrò