Stavolta non ce la daranno a bere con la solita, vecchia teoria del punk. Con rispetto – del genere – parlando, ma “Hearts of Oak” è una faccenda piuttosto diversa, anche se non ce ne si accorge subito. D’altra parte questo mattacchione dalla vaga somiglianza con Damon Albarn (ah, maledetti inglesi) incide da un bel po’ con la Lookout!, che del punk è, tra tutte le label (e segnatamente quelle, come lei stessa, californiane), una sorta di sorellina indisponente e dispettosa, ma in fondo un bel po’ divertente. E d’altra parte ancora non si può certo dire che Ted ami gettare pennellate d’alta scuola cantautoriale sulla sua ruvida, ma fruibilissima musica.
“Hearts of Oak” è un disco che vi farà spalancare le finestre al mondo, farà spuntare il sole dalle nuvole e vi farà gridare a tutti che questo mondo può essere ancora fonte di sorprese, soddisfazioni, lacrime di felicità. Non è un disco che vi farà proprio pogare, né vi farà buttare da uno strapiombo in skate o snow (board, in ambo i casi). Ed è questa la chiave di lettura grazie alla quale scoprire, quanto a filosofia oltre che a sound vero e proprio, che la cicogna di Ted Leo deve aver perso la bussola quando l’ha depositato sulla terra, catapultandolo dalla parte sbagliata dell’oceano. Per come suona Mr. Leo è un fottutissimo “brit”, ma della razza che molti amano incondizionatamente: quella mod.
Menarla grossa? Non credo che mi costerà il defenestramento dalla categoria degli indie maniacs col vizio di scrivere (dovreste anche spiegarmi perché mai Ted vada a fare una cover dei Jam nell’EP che si accinge a pubblicare). Ted e la sua band riescono in maniera impeccabile a rispolverare le pagine dei primi Supergrass: solarità e follia nelle melodie (il perno di tutto), tonalità alte nel cantato, ritornelli da riappacificazione definitiva con la realtà circostante ed esuberanti piroette vocali. A tutto ciò aggiungete un solido retroterra nel background filo-punk del nuovo continente, che garantisce, quanto meno, un basso extra-large (talvolta parente stretto di un calabrone in volo) e una batteria particolarmente attenta (più una serie di lodevoli guest appearances: Chris Leo dei Lapse e Jodi Buonanno dei Secret Stars su tutti – mica un eremita il buon Ted). Tre, solo tre brani che non dimenticherete (e il cui “imprinting” vi distrarrà dal gosere appieno dei 5 che seguono nella tracklist): ‘The High Party’, ‘The Ballad of the Sin Eater’ e ‘The Anointed One’. Tre brani che un buon dj rock non può esimersi dal passare se ha a cuore l’intrattenimento del suo pubblico. Preparatevi, finalmente, a urlare la vostra gioia. La notte è finita.
Autore: Bob Villani