Si narrano le più disparate leggende su Klaus Schulze. Storie di musica e di uomini di un’altra epoca, di una società contraddistinta da una serie di eventi sociali, politici ed economici che modificheranno inevitabilmente l’avvenire. Racconti in parte enfatizzati nel tempo e dal tempo e che hanno, per quanto possibile, inspessito la musica stessa, talvolta stringendola fin troppo alle azioni o alle gesta epiche di personaggi e protagonisti.
Klaus Schulze ha sempre dovuto fare i conti con una straordinaria creatività, che l’ha portato nel tempo alla creazione di decine di composizioni raccolte in un numero imprecisato di dischi e collaborazioni. Che piaccia oppure no, non possono lasciare indifferenti i chilometrici elenchi delle raccolte soliste e non del nostro. A circa quarant’anni da “Electronic Meditation”, primo disco dei Tangerine Dream della formazione Froese/Shnitzer/Schulze, album poco elettronico tantomeno meditativo, Klaus decide di raccontarsi finalmente in prima persona in un documentario “condotto” dal capellone Steven Wilson, cantante dei Porcupine Tree, allegato proprio al doppio DVD, “Rheingold – Live at Loreley” e narra di un tempo in cui è bastato davvero chiudere gli occhi e sognare per riuscire a volare. Schulze, nato a Berlino, classe ’47, è oggi un elegante signore gentile nei modi e teutonico nella forma tanto da presentarsi all’intervista con Steven, e quindi nel documentario in pantofole. Sembra una conversazione tanto privata quanto comoda, e fa venire una gran voglia di ascoltarla le storie svelate sono davvero fantastiche! Il nostro ha esordito come batterista con la formazione dei Psy-Free, band psichedelica agli albori della nascente scena Kosmike. Edgar Froese, che al momento sta girando con una band dal nome The Ones, impantanatosi nel suo ostinato progetto e la sua fisima di tradurre in musica i dipinti di Salvador Dalì, (fissazione legata anche ad una amicizia con l’artista stesso che l’ha ospitato per diversi live alle feste nella propria villa privata), chiede formalmente al talentuoso percussionista dei Psy-Free di unirsi a lui per un nuovo progetto, i Tangerine Dream. Nel gruppo confluisce anche un altro irriducibile della sperimentazione, Conrad Shnitzer, violoncellista, già co-fondatore dei Kluster con Didier Moebius e Hans-Joachim Roedelius. Nasce proprio “Electronic Meditation”, sull’ultraindipendente etichetta Ohr, un mostro rock free-form psichedelico d’ispirazione “pinkfloydiana” anche se gli stessi Pink Floyd difficilmente riusciranno a raggiungere gli stessi risultati di questa performance. La spiegazione è che nel dopo Barrett, i Floyd hanno presumibilmente cercato ispirazione passando troppo tempo a guardarsi allo specchio mentre suonavano. Le band tedesche di fine ’60, inizio ‘70 invece hanno fretta. Devono ricostruire un vuoto culturale, un buco nero creatosi con la guerra e col nazismo. Dietro di sé non hanno nessuno se non i classici, Beethoven, Wagner e Schubert & Co. A questi si aggiungono i compositori moderni tra cui uno di essi in particolare, unico nella storia della musica, Karl-Heinz Stockhausen, che in un certo senso ha profeticamente indicato la direzione da seguire. I formidabili risultati ottenuti dalle band tedesche d’inizio ’70 sono conducibili a un concreto tentativo di dare alla luce uno stile proprio, lontano dai gruppi anglo-americani, qualcosa di effettivamente nuovo.
“Se pensate di conoscere il rock’n roll senza avere mai sentito “Electronic Meditation” siete pazzi”; siccome Julian Cope ha un grosso credito di fiducia, vale la pena citare questa affermazione dal suo “Krautrocksampler” (Lain). In effetti, l’ex Teardrop Explodes non esagera, “Electronic Meditation” è un disco che si becca un bel dieci in pagella. Klaus però ha un problema, ha un ego al quale non può disobbedire e, la sua fortissima personalità, caratteriale e compositiva, è troppo per una burrascosa “prima donna” come Froese. Schulze sarà sostituito da un ex Agitation Free alla batteria, Chris Franke suo emulatore a tal punto di suonare le percussioni in maniera pressoché identica, in “Alpha Centauri”, seconda uscita, sempre su Ohr, dei TD, soprattutto nell’utilizzo dei piatti e dei tom. Klaus intanto si aggrega ad altri due scoppiati, Manuel Gottsching e Helmut Enke, e mette su un’altra prodigiosa e misteriosa band di rock cosmico inzuppato di blues, gli Ash Ra Tempel. Dopo l’uscita del primo e sensazionale album “Ash Ra Tempel”, Klaus partecipa parzialmente alle uscite della band, saltando “Schwingungen” per comporre il suo primo album solista “Irrlicht” e soprattutto, non partecipa alla trasferta del gruppo in Svizzera, dove Gottsching & C. si uniscono a Timothy Leary e Brian Barrit, entrambi ricercati dalla polizia di mezzo mondo per le loro teorie ed esperimenti con l’acido lisergico. Nasce “7 Up”, un delirio drogato di rock psichedelico e cosmico quanto la Via Lattea. Klaus riprenderà il discorso interrotto con gli ART in “Join Inn” anche se qualcosa sta cambiando. Il nostro è stanco della batteria e delle band. Vuole creare la propria musica senza che nessuno gli sia tra i piedi, inoltre egli è da qualche tempo affascinato da un nuovo strumento che intanto sta spopolando nel mondo della pubblicità e della cinematografia che costa quanto un’utilitaria: il sintetizzatore. I primi synth sono un assemblaggio d’ingombranti sistemi modulari fino al 1970, anno in cui un ingegnere americano Robert Moog inventa il celebre Minimoog model B, primo vero sintetizzatore per una diffusione di massa. Durante il documentario Klaus ha modo di raccontare abbondantemente la sua infinita passione per il Minimoog e ne parla come estasiato nonostante i decenni. A tecnologie innovative corrisponde una nuova concezione nel rapporto compositivo ma “musica elettronica”, a inizio anni settanta, è ancora una definizione piuttosto astratta.
Gli Ash Ra Tempel, saranno l’ultima band del Klaus von Berlin e Gottsching proseguirà per qualche disco ancora, prima di rinominarla Ashra, almeno fino al 1981 anno di uscita del famigerato “E2-E4” a nome proprio di Manuel Gottsching. Intanto Schulze, nel 1972, per la sua prima uscita, assolda la Colloquium Musica Orchestra, ed egli stesso utilizza un organo elettrico di seconda mano e mal funzionante, quindi può suonare solo quanto consentito. Le registrazioni di “Irrlicht” sono una follia e tutta l’orchestra pensava sul serio che il giovane Klaus fosse pazzo. Tecnicamente ci vuole un altro “freak-out” per fare “scopa” e Schulze racconta che a un incontro con Rolf-Ulrich Kaiser, proprietario all’epoca della Ohr e di altre etichette, il “Kaiser” bruscamente rivendica la proprietà assoluta del neonascente disco avendo qualche tempo prima Schulze firmato per la Ohr stessa con i Tangerine Dream. “Non me ne preoccupai. Ero molto felice per l’uscita di “Irrlicht”. Qualsiasi altra compagnia probabilmente me l’avrebbe respinto” – racconta.
L’album è un successo artistico, ma un disastro in termini commerciali anche se tutti e quattro i primi album solisti vengono a cascata e sono sbalorditivi: 1972 “Irrlicht”, 1973 “Cyborg”, 1974 “Black Dance”, 1975 “Picture Music”, in buona parte sono desolati ambienti marziani con delle copertine da sballo e fondamentali per comprendere il trip cosmico del musicista e le sue teorie e l’influenza sul futuro della musica che naturalmente si evolverà. Il minimalismo di Shulze di matrice “Rileyana” è da intendersi come sospeso o senza tempo in lunghissime ed epiche epopee di organo o sintetizzatore. Frattanto il nostro eroe è impegnato in una serie di registrazioni bibliche nello studio del talentuoso tecnico Dieter Dierks. Insieme con gli altri Ash Ra Tempel, Jurgen Dollase, Harald Grosskopf, Gille Lettmann, W.Westrupp, W.Wegmüller e lo stesso Dierks, sotto il “miracoloso” e quanto mai perenne effetto di LSD, mette su ore di sessioni di musica improvvisata. Dalla visione e dalla regia del giornalista Rolf-Ulrich Kaiser e dal montaggio del tecnico Dierks che in studio passa giorni interi a montare ettometri di nastri, nascono dischi monumentali, tanto grandiosi quanto misteriosi a nome di Cosmic Jockers, tutti su etichetta Kosmiche Musik.
Gli stessi musicisti però sono all’oscuro di tutto ed è Manuel Gottsching a scoprire quasi per caso al grottesco e remunerativo gioco di R.U.K. Dovrebbe essere andata tipo che il chitarrista riconosce una sua parte di chitarra in un brano in un negozio di dischi. Si fa mostrare il disco dal commesso e trova sulla copertina la sua foto insieme a tutto il resto della banda. Klaus “Quadro” Schulze venuto a conoscenza della “truffa” impazzisce dall’ira. Da quel momento in poi la musica tedesca subirà una forte flessione, il “Kaiser”, proprietario di diverse etichette, scompare, inoltre il forte interessamento e successo che le band teutoniche stanno riscontrando all’estero, Inghilterra in primis, portano quello che intanto è definito Krautrock alla degenerazione (nel vero senso etimologico) e di conseguenza un po’ alla fine del viaggio per cominciarne uno nuovo. Gli esempi Kraftwerk e Tangerine Dream sono emblematici. Dopo cinque album di cui uno a nome Organisation, di sperimentazione pura, allo stesso tempo attratti e riluttanti al rock & roll, con il magico “Autobahn”, Ralf & Florian si aprono al pop e portano il loro nome tedeschissimo in giro per il mondo soprattutto negli States. Froese che nel frattempo ha cambiato dodicimila formazioni per i Tangerine Dream comincia con i gradevoli “Ricochet” e “Phaedra” per poi impaludarsi nelle sabbie mobili di elettronica d’ambiente ed easy listening, in una serie di dischi fotocopia. Molte altre band guardano all’estero, a etichette come la neonata Virgin Records, e la “lontananza” artistica dalla madrepatria garantirà successi commerciali per molte di esse ma album molto meno ispirati. Accadrà anche per Klaus.
KS ha proseguito la propria carriera realizzando almeno due, tre composizioni l’anno e finalmente oggi è possibile vederlo live in uno dei suoi rari concerti. “Rheingold” è un’esibizione live del 18 luglio 2008 al “Night of the Prog III – Festival a St. Goarshausen” ed è una performance di vocazione “wagneriana”. Ad accompagnarlo sullo stage vi è Lisa Gerrard, la voce dei Dead Can Dance con la quale il compositore di Berlino ha già collaborato nel disco “Farscape” del 2008. Klaus a malapena è visibile, sommerso e circondato com’è da montagne di sintetizzatori. Il suo volto riflette i led delle macchine e le sue composizioni sono illuminate dalla consapevolezza della proprietà della musica e dalla padronanza assoluta della strumentazione. Le sei tracce, “Alberich”, “Loreley”, “Wotan”, “Wellgunde”, “Nothung” e la bonus track “Nibelungen” sono indirizzabili tutte in un unico concept.
Il secondo DVD è in parte un documentario in fase di mixaggio ai Real World Studios di Peter Gabriel in Inghilterra. In realtà non si ha la sensazione di trovare un prodotto molto professionale. Le riprese, montaggio e fotografia sembrano essere lasciati intenzionalmente naturali, forse per lasciar trasparire l’aria di distensione che aleggia nello studio. Così si vede Klaus, sempre in pantofole, lavorare e scherzare con i tecnici in questo mega-studio hi-tech, dove si discute del suono, di sintetizzatori, effetti, parametri, aneddoti e del live con Lisa Gerrard in modo assolutamente non artificiale. La seconda parte del documentario è la confortevole conversazione “privata” di cui sopra nella quale Klaus racconta sorridente le sue storie a un appassionato ed eccitato Steven Wilson.
Il periodo della Kosmiche Musik è durato pochissimo ma è stato molto intenso. Le ristampe in CD e Vinile che stanno uscendo in questi mesi confermano la totale riscoperta di un periodo semplicemente magico e misterioso. Anche la stampa specialistica conferma questo trend con citazioni al filone e cospicue attenzioni. Maestri e sciamani avranno per sempre una propria soddisfazione personale consci di aver cambiato il corso della musica, nonostante non siano riusciti però a cambiare il loro destino artistico. Penso al povero Klaus Dinger, scomparso nel marzo del 2008, che ha influenzato tanto David Bowie, che il duca bianco addirittura ha provato a imitarlo nei movimenti e nell’abbigliamento. Oppure Brian Eno che ha tentato in tutti i modi di far suo il sound di “Zuckerzeit” dei Cluster, e credo che anche i Sex Pistols e i musicisti punk ’77 non possono aver ignorato i NEU! per dare al punk stesso il suono che meritava, per non parlare dei Kraftwerk e la techno che sarà…
Il tempo è galantuomo e a quasi quarant’anni di distanza, molti di essi stanno avendo la loro meritata rivincita. Il sound di maestri come Shulze resta attuale, forse sospeso nel tempo nonostante la maggior parte di quei musicisti raggiungesse il prodotto finito mediante una progressiva stratificazione del suono o con la tecnica del “taglia e cuci”.
I corrieri cosmici sono stati persone che semplicemente hanno vissuto il loro tempo, concetto che le generazioni future non sono riuscite a capire e attuare.
Per tornare a “Rheingold”, i modaioli stiano alla larga da questo live, da quei sintetizzatori escono polvere e acari in abito da sera. Quella stessa polvere però per tanti altri resta e sarà semplicemente polvere di stelle.
Lisa Gerrard live la Loreley, imagine Rheingold DVD
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Autore: Luigi Ferrara
www.klaus-schulze.com