A sessantasei anni Iggy Pop continua ad essere quella bestia punk indomabile che è sempre stata. Nei suoi ultimi lavori solistici ha però scelto la strada del crooner ma quando ritorna in pusta con gli Stooges riaccende la sua anima fottutamente punk.
Il Padrino non vuole sentire parlare di pacificazioni e di pensione e così sforna un nuovo lavoro con gli Stooges. Morto Ron Asheton, Iggy Pop non si è dato per vinto e ha deciso di dare un seguito al lodevole “The weirdness” pubblicato nel 2007 e prodotto da Steve Albini, fù il primo disco della reunion.
Per questa “seconda” rinascita degli Stooges l’iguana ha richiamato al suo fianco James Williamson, con il quale scrisse “Raw power”, e ha partorito questo nuovo lavoro, prodotto prodotto proprio da Williamson, continuando a portare in giro per il mondo questa macchina da guerra.
La base ritmica resta la stessa con Scott Asheton alla batteria e Mike Watt al basso. “Ready to die” ha tutte le carte a suo favore perché i quattro riprendono il proto-punk, attualizzandolo con l’autorevolezza che li contraddistingue e allo stesso tempo si lasciano andare anche a ballate elettro-acustiche.
In questo modo il gruppo dimostra di sapersi ancora divertire con distorsioni noise e ritmi accelerati, ma senza apparire mai patetici. Dimostrano invece che suonare punk gli riesce ancora bene lasciando a bocca aperta chi li ha tacciati di essere patetici.
In poco meno di trentacinque minuti Iggy And the Stooges ci trascinano in un punk-rock che non ha nulla da perdere ma solo da guadagnare; perché i quattro non hanno più nulla da dimostrare e le nuove generazioni non posso fare altro che guardare e apprendere da questi quattro vecchi punkettoni.
L’iniziale “Burn” è l’anello di congiunzione con il precedente disco del gruppo, mentre a “Sex & money” vengono aggiunti strani ed intriganti additivi come alcuni momenti soul, rigorosamente sensuali. Se con “Job” i quattro ci trascinano in un punk-rock vorticoso e senza via d’uscita con “Gum” le chitarre si infiammano.
A seguire giungono le ballate elettroacustiche sempre intense: c’è “Unfriendly world” in grado di rievocare le cose più accattivanti di “American Caesar”. Alti momenti cantautorali vengono raggiunti in “Beat the guy” grazie ad arrangiamenti superbi. Della partita è anche il sassofonista Steve MacKay che ci regala momenti acidi nel proto-punk di “Dirty deal”.
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autore: Vittorio Lannutti