Abbastanza sollecita Mirah nel farsi risentire. Un annetto, ma credo anche meno, da “Advisory Committee”, album – il suo secondo – con cui la cantautrice di ascendenze ebraiche (il nome completo è un po’ troppo lungo per riportarlo con la sicurezza di esser preciso) ha avuto modo di “imporre” il suo nome tra quelli di punta nell’ambito (basta co’ ‘ste scene!) new-folk dello spigolo nord-occidentale dell’unione americana. Stessa label (K records) stesso mentore (Phil Elvrum), ma un’evoluzione tutta da riportare.
Beninteso, Mirah non ha stravolto la propria estetica musicale. L’afflato acustico è ancora presente, specie nell’ideale lato B di questo “C’mon Miracle” (che esce comunque, al pari di quasi tutte le releases su K, anche in vinile), anche se il contributo di parecchi ospiti del citato ambito (tra cui, oltre a quelli “ovvi” e già citati, figurano anche Jason Anderson, Khaela Maricich aka The Blow, Aaron Hartmann e Bryce Panic, ovvero presente e passato – come lo stesso Elvrum – degli Old Time Relijun) dà a questi affreschi sonori il giusto e vigoroso “spin” per distinguersi.
Ok, quella viola lì (l’iniziale ‘Nobody Has to Stay’) l’abbiamo sentita quasi a stufo. Ma voi cosa ci piazzereste su quella voce così delicata? ‘Jerusalem’, a seguire, sembra la miglior pop song che da Mirah ci si possa attendere. E non ci siamo ancora lasciati travolgere dal soft-punk di ‘The Light’, quasi memore, nella “sporcizia” del sound, dal grunge che proprio in quei dintorni fiorì, e dal punk – stavolta ben più diretto – di ‘Look Up!’.
Sporca è anche l’elettronica cheattraversa un brano come ‘We’re Both So Sorry’, e non è solo questo l’indizio che sembra fare di Mirah una sorta di alter ego al femminile dello stesso Elvrum, parimenti suggestiva anche se, decisamente, meno visionaria e scarna. E’ comunque piacevole imbattersi in un disco come “C’mon Miracle”: tutt’altro che prolisso, innanzitutto (sotto i 40 minuti), più solare e soprattutto più vario di quanto un ascolto superficiale possa rivelare. E’ solo l’attenzione a “stirare” le pieghe di questo disco e a svelarci dettagli come l’incessante ritmo quasi flamenco (eh sì) in chiusura di ‘Don’t Die in Me’, o le pizzicate di banjo nella conclusiva ‘Exactly Where We’re From’. C’mon guys, non sprecate un disco così…
Autore: Bob Villani