“Chi sale dice a chi scende le scale: attenti, così vi fate male”. L’incipit di un brano dei PGR. Questa volta però ci si poteva fare davvero del male. Tre gruppi di grido, parte della cultura giovanile e dell’iconografia musicale italiana degli ultimi venti anni, un massiccio battage pubblicitario, un prezzo onesto, un’affluenza attesa di circa 10.000 persone, ma un solo box office, un solo ingesso. Eppure nelle ore precedenti l’idea di efficienza che ci si figura è ben altra: vigili che indicano la strada per il parcheggio dove lasciare l’auto e farci dirigere da una navetta, puntuale, sul luogo del concerto. Ma una volta arrivati l’atmosfera è da girone dantesco. Migliaia di ragazzi, ammassati all’inverosimile, prima per prendere gli agognati biglietti, poi per entrare.
I solerti addetti della security sono lentissimi, in più non aprono il cancello per intero con l’ossessione dei senza biglietto; le persone in fila aumentano e si accalcano, qualcuno si sente male, due ragazze davanti a me, chissà quanti altri e non c’è neanche lo spazio per fargli pendere un po’ d’aria. Il capolavoro tattico però si compie alle 21.20 circa: per due terzi degli spettatori l’ingresso è ancora una meta da guadagnare con sudore, ma nonostante ciò, inizia il concerto. Così alle prime note dei PGR, tutti sentono ancora più pressante la fretta di entrare, per molti il fastidio diventa rabbia, così saltano le transenne, e tutti allo sbaraglio, contro il mezzo cancello aperto. Qualcuno, pur in possesso del biglietto preferisce entrare scavalcando i muri dello stadio. Una volta dentro, tutti si lamentano, raccolgo commenti al volo, unanimi: non doveva funzionare così male.
L’ impressione complessiva è che nell’occasione il Caivano Rock Festival non si sia misurato con la grossa portata dell’ evento messo in piedi.
Terminato il requiem, c’è spazio per dire delle buone performance live, in cui ognuna delle compagini utilizza i 45 minuti a disposizione in modo creativo, probabilmente cercando di divertirsi. Allora si assiste ai PGR, tre elegantissimi signori, fondere le nuove infuocate composizioni di “D’Anima e d’ Animali”, con alcuni i felicissimi pezzi di “Montesole” (“Non sempre so dire chi e perché, ma cosa pretendete da un tipo come me?”) e con nientemeno che “Fuochi nella notte di S. Lorenzo”. Carenti della sinuosa e forte vocalità di Ginevra di Marco e del tatto world di Hector Zazou, la band emiliana riesce a fare di necessità virtù, impostando un concerto dove tutti cantano in modo corale e si mettono a suonare molto semplice e molto duro, con cadenze marziali, tutto il loro set sembra in tal modo intessuto su un solo unico, fortissimo brano, praticamente senza stacchi, capace di sottolineare una “fedeltà alla linea” non difficile da scorgere dietro tutte le svolte della loro gloriosa carriera.
Si ammirano i Marlene Kuntz rinunciare alle logiche di mercato con un compattissimo set, nonostante qualche esitazione iniziale, ripescando una straordinaria, travolgente “La Vampa delle Impressioni”, capace con la sua risolutezza di colpire al cuore gli intenditori della prima ora, che gongolano pure su “Ape Regina” ed il “Vile”. I brani più dolci e melensi (“Notte”), di cui oggi i piemontesi sono specialisti, sono una minoranza, e suonano decisamente gradevoli tra tanto impeto.
Infine gli Afterhours, che propongono un suono finalmente emancipato dal perverso genio di Xabier Irondo, finalmente più personale ed incline al carisma di Manuel Agnelli, ed ai suoi testi, privo del ciarpame noize, o elettronico a seconda, che spesso nasconde la vera indole del gruppo: quella delle deliziose canzoncine (“Bay Bay Bombay”). E’ in questo senso che stupiscono tutti con tre splendide cover, rispettivamente di Lou Reed, Fabrizio de Andrè, Area ed intonare sulla coda di “Non sono immaginario” la melodia di “Sonica” dei compagni Marlene.
Questa serata così ambivalente pone di fronte all’ inevitabile quesito se sia meglio allestire un grande evento in un contesto strutturalmente inadeguato, nonostante gli enormi inconvenienti, oppure rinunciarvi.
Autore: PasQuale Napolitano