I Bambara con il quarto lavoro “Stray”, pubblicano il loro miglior album. Non è un caso se la realizzazione di questo ottimo album sia giunta dopo che il trio, formato dai fratelli gemelli Reid e Blaze Bateh e dal bassista William Brookshire, ha condivo palchi con Idles, Metz e Girl Band, vale a dire il meglio del revival del post punk in circolazione.
A proposito di post punk è questo il motore principe di “Stray”, tuttavia, a differenza dei gruppi britannici, quello dei Bambara è più oscuro e tendente al noir e al gothic.
Nelle dieci tracce di “Stray” si intravedono in maniera più o meno esplicita influssi tanto dei Gun Club, quanto del Nick Cave agli inizi con The Bad Seeds. Il trio in studio si è avvalso della collaborazione di vari musicisti, in fase di scrittura dei brani, chiudendosi in uno scantinato di Brooklyn e ascoltando il cantautore canadese, Leonard Cohen e a leggere Flannery O’Connor. Quindi nel disco si respira molta tensione e una forte tendenza all’introflessione, che per fortuna di tanto in tanto esplode; ascoltare per credere la traccia “High lightining” nella quale il ritmo serrato incrocia il punk con il country, come avrebbero fatto Jeffrey Lee Pierce & soci ma senza il deragliamento finale.
Se in “Sing me to the street” vengono evocate le ballate degli omicidi di caveiana memoria, “Sweet” è caratterizzata dall’intrigante ambivalenza di essere tanto scorrevole quanto greve e intensa, presa in un ginepraio di disperazione e decadenza. Con “Stay cruel” il trio di Atlanta ci regala una struggente ballata malinconica con una chitarra da frontiera che fa capolino di tanto in tanto. L’uno-due “Ben & Lily” – “Made for me” sono accomunate da una vago sentore surf chitarristico. Il brano migliore del lotto è però “Serafina”, un rock che rotola incostantemente , in modo rancoroso e contratto.
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autore: Vittorio Lannutti