“Ho realizzato questo disco” – dice l’artista brindisino -“soprattutto perché possa essere da stimolo alla voglia e alla gioia di ritrovarsi. Ritrovarsi nella storia, nella magia dei luoghi geografici e dei luoghi dell’anima, alla ricerca di uno spirito unificatore, uno spirito che possa anche restituirci, oltre al senso più semplice delle cose, anche un po’ di pace. Un percorso di ricerca che parte inevitabilmente dalla presa di coscienza di sé e della realtà sensibile, per cercare di approdare poi ad una nuova alba di consapevolezza”.
Come di consueto per Amerigo Verardi, Hippie Dixit è un disco complesso, senza compromessi, tutt’altro che facile all’ascolto, tutt’altro che commerciale, con i suoi cento minuti di musica e canzoni da 14 minuti, dove si trovano ballate acustiche e brani psichedelici, musiche ariose di sapore mediterraneo e solare e momenti dark e sofisticati.
Per trovare qualcosa del genere nel panorama della psichedelia italiana dobbiamo tornare indietro nel tempo ritrovando sempre Amerigo con lo pseudonimo di Lula (ma prima ancora negli Allison Run). Ripercorreno la carriera e la discografia di Amerigo, in assoluto l’artista più sperimentatore e inquieto che abbiamo nel panorama underground italiano; lo ricordiamo in ben tre band: gli Allison Run (ben tre dischi a metà anni ’80), Betty’s Blues e Lula (due dischi negli anni ’90), la carriera solista gli assegna il successo con Morgan, e Cremlino e Coca, e i Sogni nelle Cassette, fino al disco pubblicato con lo pseudonimo Lotus, ovvero Nessuno è innocente, forse il suo lavoro più conosciuto.
Tuttora Verardi lavora con la scena alternativa del rock nazionale (è produttore dei primi due dischi dei Baustelle), dopo aver collaborato con nomi del calibro di Manuel Agnelli, Carmen Consoli, Federico Fiumani dei Diaframma, ma anche il cantautore Dente.
Non è insomma qualcuno che possa improvvisare così un disco doppio, o “svenderlo” alla prima melodia facile. Anzi, l’album inizia quasi volontariamente difficile, con L’uomo di Tangeri, racconto che ispira atmosfere camusiane, e poi con l’ermetismo testuale di Terre Promesse, e le atmosfere orientaleggiati di Korinthos, per esempio.
O basta citare i titoli di tre canzoni del secondo disco, Chiarezza, Verità, Innocenza, per capire che ricerca testuale ma anche musicale si trova nelle tracce di questo splendido LP, che va ascoltato come un’opera, dove ogni canzone non è indipendente dalle altre.
Illuminare qualche singola traccia è davvero faticoso, in un album così congegnato, ma certo è impossibile non sottolineare una canzone in puro crescendo rock come A me Non Basta (l’unica di cui è solo interprete, con testo e musica di Alessandro Tommaselli), o le meravigliose sfumature di Brindisi, un testo che gioca ironicamente sul doppio nome della città e dell’augurale gesto, o il ritmo arioso mediterraneo di Pietre al Collo, o l’aria solare di Verità, o ancora la splendida semplicità acustica di Innocenza.
Colpiscono due cose in particolare di questo disco: le raffinatezze strumentali (chitarre di ogni genere, elettronica analogica, xilofoni, rumori registrati in presa diretta, sonorità orientali e nordafricane, comunque in generale mediterranee, come per esempio in Verità, canzone semplice e acustica solo all’apparenza) che rendono questo disco colorato e complesso, e il forte sperimentalismo ed espressionismo testuale, di cui non v’è modo di trovare traccia in altri esempi della musica italiana.
Si fa fatica a volte a seguire il percorso immaginifico dei voli pindarici delle parole di questo disco, spesso legate a citazioni bibliche o comunque riferimenti evangelici (Chiarezza) salvo i casi in cui l’intento politico è più dichiarato (la già citata Brindisi, oppure Due Sicilie, per esempio, o riferimenti più direttamente autobiografici come Pietre al Collo o Le Cose non Girano Più).
Verardi stesso scrive dei suoi testi di questo disco: “da un lato, ho cercato di essere semplice e diretto come quasi mai prima; dall’altro, invece, ho liberato le visioni più astratte che si andavano manifestando all’improvviso fra gli strati di pensieri, riflessioni e anche discussioni; visioni che in alcuni casi mi parevano prive di senso, ma che gradatamente si chiarificavano, acquistando significati sempre più profondi, sempre più veritieri”.
Siamo di fronte a un capolavoro, dalle mille letture, e dai tanti, possibili, necessari riascolti. Un disco che non smetterà di sorprendere e affascinare.
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autore: Francesco Postiglione