Se i Maximo Park sono sopravvissuti all’ondata indierock degli anni Zero c’è sicuramente una ragione. Se poi –oltre a sopravvivere- non smettono di ricordarci della loro esistenza ogni 18 mesi circa, la ragione è bella valida.
Dovevamo accorgercene forse dai completini in tweed del frontman, che non ha mai ceduto all’omologazione cheap monday, in un periodo in cui, indossandoli, avrebbe certamente rimorchiato di più. Dovevamo accorgercene forse da una bella traccia come Book from boxes, ai tempi del loro secondo album (Our eartly pleasure, 2007), quando era chiaro che l’amata di turno, nonché destinataria di ogni canzone d’amore, fosse una donnina eterea, sfuggente e un po’ intellettuale.
Paul Smith è sempre stato particolarmente felice nella scrittura, ed è proprio questa l’ancora di salvezza di un gruppo come i Maximo Park, che probabilmente non sarebbe riuscito a rimanere a galla tutto questo tempo contando solo sulle chitarrine da dance floor. E oramai è troppo tardi per rispedirli tra gli esordienti da dare in pasto alla nicchia. Anche se musicalmente Too much information non aggiunge nulla di interessante alle prime (e indimenticabili) prove d’artista, ecco che ogni traccia, se approcciata attraverso la lettura dei testi, diventa una raccolta di racconti, un album di immagini in cui scorrono camere d’albergo (Leave this island, Lydia, the ink will never dry), ricordi di confidenze, bevute, momenti privati richiamati alla memoria per colmare assenze (Drinking Martinis).
A suggestioni anni ottanta che un po’ lasciano il tempo che trovano, non mancano i riff che anni fa hanno costituito la cifra stessa della band, come in My Bloody Mind o in I recognise the light. Il piccolo gioiello dell’album giace sul fondo, come penultima traccia. Una canzone dedicata alla poetessa americana Audre Lorde, coinvolta nella battaglia contro le diversità razziali e sessuali. Per metà scozzese e per metà afroamericana, le sue poesie sono incentrate soprattutto sull’importanza di preservare l’incompletezza e l’asimettria, in una società sempre più votata alla perfezione.
Un piccolo tributo che dà valore aggiunto alla band inglese che sembra avere sempre qualcosa da dire, a prescindere dal risultato musicale.
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autore: Olga Campofredda