Circa 25 anni fa, quando ‘centri sociali’ significava cultura, interscambi e concerti, esisteva una band noise francese che si chiamava Deity Guns. Non una band qualsiasi, forse la più grande noise-band d’oltralpe, che andava in tour con i Sonic Youth e che si faceva produrre i dischi da Lee Ranaldo.
Dopo arrivarono i Bästards a continuare la tradizione noise sperimentale, collaborando anche con Yann Tiersen che ha prodotto lavori su questa stessa etichetta Ici D’ailleurs, interessantissima indie-label di Nancy che nel suo roster vanta nomi importanti del panorama europeo come Matt Elliott). Poi, per filiazione diretta, si arriva agli Zëro.
Esiste un sottile (ma neanche troppo) fil rouge che accomuna un attitudine – più che un suono – di bands geograficamente provenienti dalla Francia e dintorni (Belgio, Svizzera..). E’ un suono piovoso, che riflette le infinite sfumature del grigio quando si scontra con il verde ed il blu. E’ un suono claustrofobico ma che contiene sempre delle lame di melodia. E’ un suono lunare. E’ un suono quasi sempre vicino alla sperimentazione quello di Young Gods, Ulan Bator e persino certi primi Deus, Notwist e Village of Savoonga per spingerci fino alla bassa Mitteleuropa: post-rock, elettronica ed avanguardia rock sui cui gravano plumbei arcobaleni.
Questa è la placenta in cui sono immersi gli Zëro che senza dimenticare la loro storia son riusciti a realizzare un disco che è un notevole, sostanziale passo in avanti, o meglio, di lato, visto che per riuscire anche un po’ a smarcarsi da quella tradizione hanno rivisitato alcune stanze del rock del passato per assemblare questo Hungry Dogs il cui risultato è un melànge davvero inusuale.
Innanzitutto i suoni puliti, l’ordine, il rigore formale di cui si investono gli Zëro per evitare che le troppe spezie utilizzate risultino indigeste.
Fast Car comincia come una soundtrack per una spy-story ma è solo un pretesto per utilizzare una base – anche un po’ irritante – per lanciarsi in volute di elettrica ampollose, quasi fusion, se non fosse per una scelta di note sul finire che declina verso il ‘post’. Va intesa quindi come uno scherzo prog-math per ultraquarantenni poco avvezzi a certi suoni dei tardi anni duemila.
Cracker’s Ballroom invece non nasconde la sua natura geometrica, la sua propensione agli incastri chitarristici, benchè la voce di Eric Aldea restituisca anche una parvenza d’umanità.
Clown In A Crowd è a dir poco geniale: tastiere giocattolo fisse come base-disturbo, voce malsana di scuola Jesus Lizard/Cows e synth-finale alla Soft Cell: ideale dancefloor ’post-legge Basaglia’!
Hackin Around piacerà proprio ai fan di Young Gods per quel suo emergere ieratico dai fumi del post-industrial europeo (e forse potrebbe anche piacere ai fan dei Godspeed You Black Emperor con poche pretese).
Speedball ha un incedere funky alieno e deve molto a quell’aberrazione del progressive degli ’80-’90 che declinò il suo verbo in chiave math-metal, King Crimson su tutti.
Firts Turns To Last anche risente di quest’estetica caotica (anche se sempre molto pulita nei suoni, occorre ribadirlo) ma il gioco della voce no-wave/post-punk, le casio-keyboards e gli incastri ritmici serrati cominciano a mostrare un po’ la corda a questo punto. Non basta un recitato pseudo-horror sul finire a salvare il brano inutile e tanto noioso. Come del resto The Trap e Polly’s On The Run che utilizzano ingredienti già assaggiati prima senza aggiungere molto se non una buona manciata di desolazione.
Ci si riprende con Feasts Of Freaks, tastieroni prog e festosa atmosfera sixties come da titolo: vengono in mente i Bevis Frond più psichici e si conclude con Queen of Pain, inaspettato guitar-rock sufficientemente arioso a ribadire il concetto che gli Zëro hanno voluto fare un ‘disco rock and roll’, e a modo loro, con quelli che sono i linguaggi che conoscono, a parte quel paio di espisodi, ci son riusciti bene.
Autore: A.Giulio Magliulo