Chitarre nella nebbia. L’esordio dei Glasvegas (album dell’anno per il NME), direttamente dall’affascinante e malinconica Scozia, non stride con il clamore (giustificato) dei media, che mandano a ripetizione i singoli Daddy’s Gone e Geraldine. In Italia l’album è stato pubblicato lo scorso 30 gennaio, ma in Gran Bretagna hanno conquistato già tutti: Glastonbury, Reading, T in The Park e fan celebri come Michael Stipe, Fran Healy e Debbie Harry. Suoni epici, emotività tra il Morrisey più malinconico ed i riverberi alla Jesus And Mary Chain, qualche coro alla Beach Boys (fortunatamente non fuori contesto), melodie in crescendo (It’s My Own Cheating Heart That Makes Me Cry). Notati anche dagli Oasis (che li hanno voluti in alcune date del loro tour), la band formata dai fratelli James e Rab Allan, Paul Donoghue e dalla bassista in look warholiano Caroline Mc Kay, arriva dalla periferia di Glasgow: solitudine, abbandoni, criminalità. Umore nero (come l’artwork) condito da dolci melodie che, grazie anche alla produzione di Rich Costley, già con Muse e Interpol, esplodono in riverberi sonici e carichi di enfasi, come quando cantano “Forget your dad, he’s gone”. I ragazzi ci sanno fare, ed inseriscono la citazione di You Are My Sunshine di Jimmie Davis nella open track “Flowers & Football Tops”, quasi 7 minuti di intensità drammatica che tocca il cuore e la mente. Non contenti, ed è un bene, recitano sulla Sonata al chiaro di luna di Beethoven una poesia dai toni epici, dove “nessuna cavalleria potrà salvarmi” (Stabbed). Un ottimo esordio, paragonabile per intensità ed impatto emotivo a Showbiz dei Muse, quando i tre non si erano ancora persi tra barocchismi e tecnicismi. Li aspettiamo in Italia.
Autore: Luigi Ferraro