Trent’anni di carriera, dodici album e mai uno sbaglio. Questo in sintesi il percorso svolto finora dal gruppo di Oakland. In ogni disco il quintetto dimostra di aggiungere un altro importante capitolo al suo percorso musicale/psicologico/introspettivo. Sempre coerenti a loro stessi i Neurosis, anche se non suonano più l’hc degli esordi. Mantengono attitudine e coerenza, con testi sempre incentrati sull’emersione e la messa in mostra dei fantasmi interiori.
I loro dischi, sono, infatti, delle autoanalisi con le quali si mettono a nudo di fronte al loro pubblico. È questa l’essenza della loro autorevolezza e credibilità. L’uscita parca dei loro dischi dimostra anche che continuano ad essere liberi dalla violenza del mercato e di pubblicare i loro lavori esclusivamente quando vogliono comunicare qualcosa di reale.
“Fires within fires” non si esime da questo approccio e lo stesso titolo è indicativo di come questi artisti sentano sempre più di scavare i loro fuochi e demoni interiori. Lo stile musicale è sempre quello del post-metal con tratti di doom e post-core. Tuttavia a differenza degli ultimi lavori, nel disco in questione i brani sono soltanto cinque, anche se di durate non corte; sono più sanguigni e hanno un’impronta psichedelica meno accentuata.
Il lavoro parte con “Blending light”, dotata di un sound mastodontico e con un testo che è più una poesia introspettiva il cui elemento centrale è il legame tra la potenza della natura e la fragilità dell’uomo, strutturata con una poetica sorprendente e densa. In “A shadow memory”, dopo l’iniziale quiete, giunge la tempesta, progressivamente minacciosa con una voce particolarmente tirata e con un testo claustrofobico nel quale emerge l’insofferenza alla propria pazzia i cui sintomi sono i demoni interiori e con gli intrecci chitarra-tastiere risultano particolarmente complementari.
Il ritmo si accelera in “Fire is the end lesson” e lambisce i territori toccati dagli Unsane, con Kelly e Steve Von Till che intrecciano le loro voci in un flusso di coscienza che diventa quasi mistica pagana ed autoriflessa.
Nei quasi nove minuti di “Broken ground” i Neurosis sentono l’esigenza di cercare la speranza dopo un parte iniziale che sa di ballata ma che poi esplode in un metal post-core travolgente e tirato. La conclusiva “Reach” ha un piglio maggiormente psichedelico, sognante e apparentemente leggero, ma in realtà profondamente radicato al suolo. In cabina di regia c’è ancora Steve Albini. Chi meglio poteva mixare il sound dei Neurosis?
http://www.neurosis.com/
https://www.facebook.com/officialneurosis/
autore: Vittorio Lannutti