L’esperienza collettiva P.R.E. è terminata. Nata con lo scopo di indagare le istanze del romanticismo nella musica contemporanea giunge a lieto compimento districandosi da un complicato intreccio di rami e radici grazie soprattutto a Giulio Di Mauro che ha radunato notevoli e significative forze in questa operazione il cui leitmotiv è indubbiamente la nostalgia nelle sue più diverse declinazioni artistiche, ma anche l'(auto)ironia di cui inaspettatamente è stata capace. Il senso di certi accostamenti, in prima battuta azzardati, si è potuto rivelare solo alla fine delle celebrazioni come ad esempio la fase technoide a cura di Mouse on Mars, Legowelt, Riga e Stakanovismo, che si è sviluppata dall’alba all’ora di pranzo della domenica. Certamente alcuni personaggi hanno avuto un peso maggiore di altri. Gli Ardecore hanno suonato, nella stessa esibizione, con Nada e David Tibet dei Current 93 e, si converrà, la cosa è di difficile immaginazione perfino per le menti più galoppanti. La famosa cantante italiana ha riproposto tutti i suoi più grandi successi con rinnovata verve grazie all’apporto squisitamente eterodosso del gruppo di Giampaolo Felici, sembrando molto ‘più giovane’ della giovane Sara Dietrich che, pur condividendo il palco con i nostri è rimasta intrappolata in questo immaginario estetico/sonoro d’antan senza lasciare troppi segni. Abbiamo poi rivisto Danilo Fatur, ‘artista del popolo’ di cui avevamo perso le tracce dai tempi dei CCCP e che di quell’esperienza riporta oggi la parte più grottesca con un risultato sonoro assimilabile agli Offlaga Disco Pax. All’opposto di Ernesto Tomasini, prossima futura stella dello stesso firmamento dei vari Antony and The Johnsons, Marc Almond e Baby Dee e di tutti quelli che dal ‘bel canto’ ne mutuano la parte più androgina ma forte di una teatralità colta tra Carmelo Bene per l’uso spregiudicato delle voci e i guitti anteguerra che forti contributi hanno poi dato anche al cinema. Con una deliziosa sicilianità a suggellare il tutto. E pensare che ha cominciato con una poesia nera che ha poi candidamente svelato essere un testo dei Venom. Dopo proporrà una rilettura neoclassica di ‘Breaking The Law’ dei Judas Priest, anche se non lo dice. La sua mimica è pressochè perfetta ed elegante, studiata perfino nel più insignificante dettaglio: uno dei momenti più alti del festival!
C’è stato anche Federico Fiumani che da solo con la sua chitarra ha abbozzato un po’ tutta la discografia dei Diaframma senza prendersi troppo sul serio, qualità che solo i ‘grandi’ sembrano conservare. Altro momento molto intenso è stata la sonorizzazione di uno dei film simbolo dell’espressionismo, “Il gabinetto del Dottor Caligari”, ad opera di Severin che da fondatore dei Banshees di Siouxsie ai tempi del punk è oggi un raffinatissimo compositore di elettronica ambient e che da solo con il suo laptop ci ha suggestionati sulle immagini allucinanti di ‘Cesare il sonnambulo‘. Una citazione anche ai numerosi collettivi che si sono alternati su questo palco, perlopiù progetti estemporanei e pieces impro i cui protagonisti principali sono stati Fabrizio Modonesi Palumbo (Larsen, XXL), Andrew Liles (Nurse With Wound), Paul Beauchamp, Claudedi (Malato, Circus Joy), Lili Refrain … (impossibile citarli tutti e me ne scuso ndr), tutti fondamentali nel creare sublimi gorghi elettromagnetici in grado di trascinarci in posti non del tutto esplorati nelle nostre avventure in musica. E ancora Directing Hand (Lavinia Blackwell ed Alex Neilson che suonerà la batteria anche dopo con Baby Dee e con i Current ), con una vocalità di stampo accademico avanguardista, tra Meredith Monk e la Nico più dissociata su un tappeto ritmico di rutilante jazz e frammenti free folk, Hush Arbors, nuova scoperta di psichedelia crepuscolare, Spiritual Front, possibile ponte tra noir-pop europeo e accesi cromatismi mediterranei nonché band ricettacolo di biancheria intima spiritosamente lanciata dalla falange femminile più facinorosa e il dark acustico dei Naevus. Sul finire della festa poi Baby Dee sola al piano inizialmente e con il suo Alex Neilson alle pelli in seguito, apprezzatissima in un repertorio meno solenne del solito e molto più movimentato. E finalmente il motivo principe per cui una folla variegata di lolite goth ed inquietanti tedeschi in tenute paramilitari, vecchi punks decadenti ed entusiasti giovani interessati alla sperimentazione e all’arte tout-court sono qui: Current 93, vera corte dei miracoli della musica rituale. David Tibet dice che è sinceramente convertito ad un suo cristianesimo, ma per crederlo bisogna davvero conoscere bene il personaggio e penetrare l’ermetismo dei suoi testi poiché a sentire le inquietanti litanie dalla sua voce, le connotazioni vagamente doom dei suoi ultimi album, la psichedelia saturnina e lunare che ne fuoriesce, si fa fatica a credere che non si tratti di qualche altra deriva eretica e blasfema. Mai la presenza delle chitarre elettriche è stata così importante nell’economia del suono della Corrente, ma qualunque cosa faccia, David Tibet è un artista con la A maiuscola, di quelli che sono un tutt’uno con la propria arte e che per essa si dannano come quando alla fine di un brano resta a terra di spalle al pubblico ad asciugarsi il volto da un pianto catartico. Ed anche noi usciamo da questo lungo Theleton onirico abbastanza provati fisicamente ma contenti, perchè ancora esistono e resistono culture altre da quella imperante e che tali espressioni artistiche con il tempo acquisiscono ‘valore aggiunto’, come per una poesia di Baudelaire, uno spettacolo burlesque od il suono di un theremin.
Autore: A.Giulio Magliulo
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