Iperboli che degradano dolcemente. C’è chi ritiene che la maturità degli anni porti ad una visione della vita più rasserenata … morbida … consapevole … ed è così per i Flaming Lips.
Dall’esordio omonimo, passando in crescendo per “Hear It Is”, “Oh My Gawd” sino a raggiungere l’acme con “Telepathic Surgery”, caposaldo di tutta la psichedelia acida degli anni ottanta, per poi assestarsi, con dovizia di cura e di arrangiamento, su “In A Priest Driven Ambulance” e “Hit To Death In The Future Head”, la band statunitense di Wayne Coyne e Michael Ivins (unici membri presenti con continuità dagli esordi sino a oggi) varca la soglia del 2020 planando in scioltezza con “American Head”, sedicesimo capitolo della saga, che assurge a perfetto giaciglio per insonni veglie al capezzale di un sereno moribondo che si spegne tra reminiscenze anni sessanta e colorate visioni liquide che, al pari della copertina, calano la vista su un mondo ovattato e sognante.
In vero, le misure per la stesura di questa nuova fiaba moderna erano state già prese con “The Soft Bulletin” e nella forza del psych-pop targato anni ‘50 e ’60, il tutto filtrato e rielaborato dalla chirurgica ricerca nella definizione ecumenica che rende, sotto il profilo musicale, “American Head”, seppur nella sua non certa spettacolarità o imprevedibilità, inattaccabile (tempo, risorse ed esperienza pagano).
Apre il disco, da cui parte anche la copertina, la completa “Will You Return / When You Come Down“, esatto anticipo di ciò che sarà, miscellanea in cui coesistono le visioni “Smile” di Brian Wilson con acidità post moderne, brano a cui segue il vocalizzo al femminile su marziale pseudo crescendo di “Watching the Lightbugs Glow“, con tanto di voci registrate di sottofondo, per un “Small Gig on Heart”.
E così, tra oniriche ballate fatte di incendi, bandiere a stelle e strisce e di sfere come capsule “Flowers of Neptune 6” e “Dinosaurs on the Mountain” (su tutte), recuperi da vecchi side B di 45 giri “At the Movies on Quaaludes“, abusi di madri lisergiche “Mother I’ve Taken LSD” e di madri tristi da “post corsa all’oro” “Mother Please Don’t Be Sad“, inquiete fughe tra pale eoliche e girasoli “God and the Policeman” (con la partecipazione di Kacey Musgraves), processioni surreali e pire “My Religion Is You” (il fuoco, la religione e l’isolamento artificiale sono temi ricorrenti e ben esplicitati nei videoclip), nulla di nuovo sotto al sole, sebbene ben fatto, sembra muoversi nel cosmico universo dei Flaming Lips, se non la consapevolezza di un certo e rassicurante piacevole ascolto capace solo di graffiare la superficie del cuore.
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autore: Marco Sica