“O quam cito transit gloria mundi” recita il De Imitatione Christi, e tale locuzione si sposa perfettamente con la parabola ascendente che stanno percorrendo i Fontaines D.C. (Grian Chatten, Tom Coll, Conor Curley, Conor Deegan III e Carlos O’Connell).
Il gruppo di Dublino rientra, infatti, sicuramente tra i più celebrati dell’ultimo lustro; e a ben ascoltare non poteva essere altrimenti avendo, con abile mestiere, saputo cogliere gli umori del mercato “alternativo”, tanto ieri come oggi.
Resta, però, l’interrogativo di quanto la loro gloria sia “effimera” o destinata a restare impressa nella storia della musica; come sentenziava il Manzoni nel “Il cinque maggio”: “Fu vera gloria? Ai posteri l’ardua sentenza”, anche lo scrivente rimanda simile interrogativo ai posteri, non ritenendo per il momento di ascrivere ancora i Fontaines D.C. nel novero dei musicisti che lasceranno un segno oltre il loro tempo, rappresentando più un passato/presente che anticipatori di un futuro “avvenire”.
– Da “Dogrel” a “Skinty Fia”
Poco convincente fu l’esordio “Dogrel” del 2019 (malgrado l’interessante flusso di coscienza di “Hurricane Laughter”) all’insegna del punk revival: ‘Non nascondo che abbia nutrito perplessità per “Dogrel”, non sotto il profilo compositivo, perfetto in ogni suo aspetto e nel saper coniugare estetica, irruenza e orecchiabilità, ma per la diffusa abitudine nel stracciarsi le vesti e correre nudi verso tuffi nel passato di genere’ – ebbi modo di scrivere su queste pagine.
Analoghe perplessità sorsero con il successivo “A Hero’s Death” del 2020: ‘Con “A Hero’s Death”, la musica cambia nel non cambiamento, certificando la bravura dei Fontaines D.C. di produrre piccole macchine esatte, perfette nella sintesi tra l’alternativo e il mainstream. E così se “Dogrel” aveva il pregio-limite del punk (radiofonico), “A Hero’s Death” scioglie nell’acido diluito una musica che tracima gli argini, per esondare su territori indubbiamente nuovi e dall’indubbia personalità ma, per la pace di parte della critica di diversa opinione rispetto allo scrivente, segnati da orme di un già solcato. Il punk più scarno viene così messo sottinteso e diventa ossatura per l’incarnazione di una miscellanea di post rock, new wave, brit pop …’ – scrissi sempre su queste pagine (per la recensione integrale si rimanda a qui).
Il mio giudizio non mutò più di tanto nemmeno per “Skinty Fia” del 2022, anch’esso piacevolmente confezionato, privo (quasi) totalmente di ogni furore punk, e voltato verso un indie con atavici geni celtici (da ricordare “Dublin City Sky” su Dogrel, ora esasperati con “The Couple Across the Way”) e la solita wave (dark), per un disco che, senza sussulti, era sospeso tra cupezza, mestizia e liricità (da menzionare le belle “In ár gCroíthe go deo”, “Big Shot”, “Roman Holiday ” …).
Sulla scia del successo i Fontaines D.C. pubblicavano nel 2020 l’EP liquido e live “A Night At Montrose” e nel 2021 il “Live At Kilmainham Gaol”, registrato dal vivo il 14 luglio del 2020 all’interno dell’omonimo carcere (entrambi i live non aggiungevano né toglievano più di tanto alle versioni studio), l’EP “Skinty Fia Sessions” del 2022 contenente trascurabili versioni “acustiche” di loro brani (anche quando pervase da un certo fascino come “Roman Holiday” o preferibili all’originale come per “The Couple Across the Way”), la “cover” di “One” degli U2 e di “Twinkle” dei Whipping Boy, l’omaggio a Nick Drake con il singolo “’Cello Song” e, per non farsi mancare nulla, anche una non necessaria “In ár gCroíthe go deo” in versione Orbital Remix.
– Il meritorio “Chaos For The Fly” di Grian Chatten
Nel 2023, Grian Chatten decide di percorre la via solista e, coadiuvato da Dan Carey e Tom Coll, pubblica l’ottimo “Chaos For The Fly”, lavoro che “inaspettatamente” dipinge una serie di piacevoli acquerelli d’autore, miscellanea di un cantautorato poetico e personale, a tratti altamente riuscito come testimoniano le perfette “Last Time Every Time Forever” e “Fairlies” e con esse la ballata elettrica/acustica e psichedelica “The Score”, l’evocativa, retrò e dalle nuance country “Bob’s Casino”, la sognante “East Coast Bed”, “I Am So Far”, le intime “All of the People” e “Season for Pain” con il suo finale “spoken” … per un disco che, in alcuni frangenti, si è fatto finanche preferire ai lavori con i Fontaines D.C. fino a quel momento pubblicati mostrando un maggiore “specifico” carattere.
– “Romance”
Ed eccoci così giunti, nel 2024, a “Romance” che segna anche il debutto per la XL Recordings al posto della storica Partisan Records.
Rispetto a “Skinty Fia” il cielo sopra Dublino di “Romance” ha tinte variabili (come dimostrato dai quattro singoli dai differenti umori che ne hanno anticipato l’uscita) e da cupo si rischiara con il passare del tempo, per poi tornare ad imbrunire in un’altalena di stati espressivi ed emotivi che le profonde liriche descrivono con un’ottima penna e che sono parte integrante e imprescindibile delle musiche; ma andiamo per ordine.
Perfetta è l’apertura con il brano eponimo “Romance”, cadenzata e “decadente” ballata “scura” (“Into the darkness again/In with the pigs in the pen/God knows I love you/Screws in my head/I will be beside you/’Til you’re dead…”), rischiarata solo dalla fioca luce della luna nel ritornello (“And maybe romance is a place, yeah/Maybe romance is a place, yeah/Maybe romance is a place/For me and you/And you/And”), prima di una sorda chiusura noise.
“Starburster” (il primo più che ottimo singolo pubblicato), pur confermando una matrice non solare, vira verso ulteriori nuove ambientazioni, con il suo urbano asfittico sprofondo, il suo cantato hip-hop (“I wanna take the truth without a lens on it …”), le sue aperture orchestrali e il suo “romantico” cambio di registro canoro che abilmente frattura ma non spezza.
Il livello non cala con l’interessante e riuscita “Here’s the Thing”, terzo singolo alt rock, dal gusto pop, e dall’amabile refrain radiofonico (anche esso perfetto singolo).
Meno convincente, se paragonata ai tre brani che l’hanno preceduta, è “Desire”, ballata a tratti anni novanta con reminiscenze dream pop e shoegaze che aggiunge minutaggio al disco senza però lasciare un profondo segno ma solo un gradevole ricordo.
Diverso discorso per “In the Modern World” (quarto singolo) in cui mutano nuovamente le stanze del suono tra i cui muri intrisi ancora di “romanticismo” risuonano echi da ballata anni ottanta, con “cori” e orchestrazioni, il tutto ai limiti di un mainstream che però assolve alla sua funzione di “arrivare” e di coinvolgere; peccato solo che il brano sia stato pubblicato nel 2024 e non decadi e decadi fa …
Chiude il Side A “Bug”, anch’esso brano come “Desire” che, con richiami agli anni novanta questa volta meno “dream” e più “brit”, ben completa più che marcare a fuoco.
Girato il vinile è la volta di “Motorcycle Boy”, narrativa e dalla ripetitiva “disturbata” struttura in tenue crescendo che conduce a “Sundowner”, sognante (“In my dreams/I can’t help it/In my dreams/Seen it coming/In my dreams/I can’t help it/In my dreams/Turns to nothing…”) tra gli anni ottanta trascorsi e i novanta da vivere: anche essa però passa e “riempie” e va ad adagiarsi nelle ovattate “impalpabili” nubi di “Horseness Is the Whatness” che si fanno all’imbrunire prossime alla tempesta.
“Death Kink” resuscita uno spirito grunge con il pregio/difetto (dipende dai punti di vista, per me è difetto) di edulcorarlo eccessivamente indebolendone il “carattere”.
Chiude il vinile “Favourite”, sostenuta (ma un po’ anonima e retrò) ballata in stile jangle pop colorata da un ripetitivo riff di chitarra, da un piacevole cantato e da un canticchiabile ritornello.
In chiusura della recensione di “A Hero’s Death” scrissi che i Fontaines D.C. dimostravano ‘di avere ben chiare le idee di ciò che sono e che voglio essere ma soprattutto di ciò che si vuole fare e che va fatto per mettere tutti d’accordo con la capacità di centrare con pienezza l’obiettivo prefissato …. con chirurgica precisione’ e “Romance” ne è l’ulteriore conferma inanellando, sebbene con una “discontinuità” di “generi”, brani tanto esatti quanto belli ed efficaci (quali “Romance”, “Starburster”, “Here’s the Thing”, “In the Modern World”) con “riempitivi” di “lusso” che se non lasciano il segno (come detto) contribuiscono a non far mai distogliere l’orecchio.
I Fontaines D.C. hanno così arricchito la loro discografia con un ulteriore lavoro che non potrà non piacere (mostrando di essere cresciuti anche in termini di produzione rispetto agli esordi e di aver ben concretizzata una volontà di ampliare gli orizzonti del mercato), ma che personalmente non scioglie (ancora) l’interrogativo posto a inizio di articolo se la loro sarà vera gloria, rimandando nuovamente ai posteri “l’ardua sentenza”.
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