Un nodo di una complessità inestricabile. È questo il lascito della Shoah, ed è così che ne parla Alessandro Piperno nel suo ultimo libro “Contro la memoria”. O almeno così pare dall’anticipazione della sua ultima fatica apparsa sul Corriere della Sera dello scorso 14 luglio, col titolo “Quando l’umanità perderà la memoria”. Cosa succederà quando l’ultimo perseguitato dai nazisti scomparirà? Con la scomparsa delle testimonianze dirette dell’Olocausto si addensano i peggiori incubi che temono un’umanità sempre più insensibile e obliosa verso le vicende del passato. Il rischio supremo è che una catastrofe di queste proporzioni si possa ripetere. Venendo a mancare i racconti di chi non è più vicino nel tempo, l’umanità riuscirà ad essere ogni volta estirpata dall’ignoranza dell’oblio? Di questo passo Piperno perviene a un momento in cui questo avvitarsi pauroso sembra trovare un punto di arresto : “l’aiuto prezioso” delle immagini può forse riconsegnare intatta la potenza della tragedia della Storia.
Non c’è nulla che ci distingua da Erodoto o da Guicciardini o Tocqueville, quanto questa possibilità potentissima di poterci rivedere. Per la prima volta l’uomo ora può rivivere attraverso documenti visivi (in foto l’ultimo frame del film “Train de Vie”, di Radu Birdaleanu, del 1999) i fatti epocali più importanti e ciò non è mai accaduto in passato. Questa sensazione dell’umanità chiamata a rispecchiarsi in se stessa assomiglia a quell’orrore provato nel novecento per la minaccia nucleare, cioè la minaccia dell’auto-estinzione che ora si è affievolita per fiacche ragioni di politica estera. L’umanità, così come per la perentorietà dell’incubo del fungo atomico, non può più riverginizzarsi nel corso dei secoli per poi delinquere nuovamente grazie a quella ritrovata innocenza necessaria a commettere atrocità. Gli archivi visivi si arricchiranno sempre più, la possibilità di miniaturizzare l’immagazzinato si incrementerà così da poter gestire spazialmente i dati e l’uomo avrà a disposizione una casistica immane. Come dice Sokurov, tra l’apprendere qualcosa tramite la letteratura e vederla invece in immagini c’è un abisso.
Quali sono i rischi di questa potenza, nuova nella storia, dell’uomo di potersi archeologizzare in video senza sosta e in pochi istanti? Il primo: rimanere schiacciati sotto una mole di dati impossibile da consultare se non secondo un arbitrio per forza pretestuoso di fronte a tale vastità. Il secondo: una ricchezza di materiali che può bloccare un presente tutto dedito allo studio del passato, l’hic et nunc schiacciati dalla mole del pregresso. Il terzo, e il peggiore: che la sempre maggiore possibilità di comparare visivamente eventi storici faccia emergere, grazie all’evidenza dei filmati, l’insensatezza della ripetizione del malvagio. La Shoah non è che l’esempio più agghiacciante. Se nemmeno le immagini servono a istruire l’uomo contro i propri errori più disastrosi, dai Lumière in poi possiamo però conoscere questa incapacità fin nei minimi dettagli.
L’umanità si potrà rivedere all’opera attraverso gesta sempre paurosamente identiche, terrificanti perché non progredienti. E che non sia già al lavoro questo infiacchimento dell’umanità derivante dalla mortificante pratica di potersi scoprire nei filmati sempre “fermi”? Che non sia un bene potersi dimenticare di se stessi, e che non siano avvantaggiati i paesi e le culture ancora non toccate da questa capacità di consultare visivamente il passato prossimo con tale esattezza fenomenologica? Sarà sempre più complesso spiegare la propria diversità rispetto al passato perché sarà difficile non ispirarsi ad esso quando è così reperibile con dovizia di particolari.
Autore: Roberto Urbani