Ascoltare tutto d’un fiato questo esordio dei milanesi Pashmak, Let the water flow, per molti neofiti ingenui potrebbe risultare estenuante, mentre per chi gode avvolgersi stretto stretto tra i post-vortici di certi Mogwai o Arab Strap qui si troverà a casa propria, nove irresistibili brani che stanno a metà tra atmosfere foggy, lente suggestioni elettroniche, indie meticciato, folk, cantautorato, brani che sanno ancora fornire quella sincerità fredda a contrasto con una certa fascinazione di considerevole – per essere appunto un esordio – livello.
Pashmak, cinque elementi, Damon Arabsolgar, Giuliano Pascoe, Antonio Polidoro, Stefano Fiori e Martin Nicastro, cinque direttrici differenti che una volta mescolate insieme vanno ad “impollinare” una gamma d’ascolto non per tutti, ma per pochi (nel senso positivo del termine), diciamo una “fusion” d’intenti e suoni che contrappuntano un’estetica sonica di grande soddisfazione.
Suoni e timbri ora acustici ora digitali, scuri e luci atmosferiche e un cantato sollevato, a mezz’aria o profondo, tutte chiavi di lettura di un disco che arricchisce il dentro, fino a scardinarlo tenuamente; ma anche disco che vive nell’underground ma già ottimo per l’internazionalità, basta sintonizzarsi – tra le tante – nella vivacità plastificata di Particles, dentro il flusso riverberato di Douglas, attraverso il pastiche di corde d’eco ispanico/latina Mata atlantica oppure buttarsi a corpo morto nelle leggiadre onde perpetue di Calypso, in pochi giri di parole un disco che è poi un buon risultato pieno e che combatte tra bellezza e solitudine, tra crepuscoli e soli lattiginosi.
Stupendo!
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autore: Max Sannella