Vabbe’, lo hanno capito anche le pietre che questo sarà uno dei dischi dell’anno, inutile girarci intorno. Piace proprio a tutti, partendo da chi segue la scena musicale indipendente, da cui Natasha Khan proviene, fino alle radio, alle charts, ed alle giurie dei vari awards discografici sparsi per il globo, pronti a distribuire premi a fine anno. E le teenager iniziano ad imitarne il look, intanto: garanzia di successo assicurato.
Il disco in effetti è quasi strabiliante, soprattutto, direi, per la complessità e contemporaneamente la relativa immediatezza che contiene. Nessuna soluzione banale, nessuna scorciatoia, eppure queste canzoni sono la soul music del 2020, con 10 anni d’anticipo. Un soul algido – che già è un controsenso – e postmoderno, spiritato e profondo, globale e non più soltanto “black”, in cui la musica non ha strumenti privilegiati, ma tutto – elettronica, chitarre acustiche anche scordate (‘Peace of Mind’), archi, cori, pianoforte – si coagula in un corpus inscindibile, che non commetteremo l’errore di provare ad analizzare in dettaglio più di tanto: basti dire che bisogna avere delle capacità di composizione, oltre che d’arrangiamento, sopra la norma, per realizzare canzoni così strutturate e a fuoco, e con tante soluzioni sonore. Due i singoli estratti dal disco sinora – con tanto di videoclip piuttosto anni 80, entrambi vagamente stile Pet Shop Boys – e sono ‘Daniel’ e ‘Pearl’s Dream’, ma tutte le altre canzoni sono dello stesso identico valore, per quanto Bat for Lashes non scriva nulla di realmente canticchiabile.
Rampolla di una famiglia pakistana molto prestigiosa ed influente, la bellissima Natasha assomiglia nell’aspetto alla collega britannica Lily Allen, ma in meglio, e si porta dietro tratti somatici esotici che nel suo Paese d’origine avrebbero magari subito una copertura semi integrale; tuttavia Natasha Khan è cresciuta in Gran Bretagna, andando a rinfoltire la schiera di musicisti indopakistani che oltremanica si rivelano anche a quest’altra parte del Mondo, apportando elementi asiatici nella pop music occidentale (ricordiamo anche gli Asian Dub Foundation). Piuttosto chiare, nelle sue canzoni, le somiglianze musicali con Layla, Antony – che se non sbaglio canticchia nella conclusiva ‘The Big Sleep’ – e Kate Bush, ma soprattutto con Björk, malgrado dobbiamo sottolineare che, se l’approccio compositivo e canoro di Bat for Lashes è simile a quello dell’artista islandese, qui c’è anche una sottile attrazione verso il soul ed il folk americano, che in Björk non si nota. “Björk e Kate Bush? Sono le mie sorelle maggiori”, avrebbe dichiarato in un’intervista Natasha Khan, ed è verosimile.
Autore: Fausto Turi