Tornano in Italia a turbare il quieto vivere de noantri quei “cazzimosi” degli Hatebreed, costantemente in tour per supportare e diffondere il mostruoso frutto della loro creatività dal poco rassicurante titolo “Rise of brutality”. Mi pare che come biglietto da visita possa andare bene. In più conservo memoria di una loro breve quanto massacrante esibizione, a Milano come opener dei Sepultura, laddove gli Hatebreed minimizzarono la band brasiliana senza problema. E pure senza pietà. Stasera si presentano con un chitarrista in meno ma con una bastardaggine congenita che esplode in 3 secondi netti, il tempo di aprire con “Proven”. Ed è subito rovina. Il pubblico non è molto numeroso, ma coinvolgimento ed il sudore non mancheranno per tutta l’ora abbondante sciorinata da questa potentissima band. Del resto il set è molto bilanciato, tra furiose rappresaglie hardcore-metal e brutali mid-tempos che attentano alla solidità del mio collo. Sembra quasi un concerto d’altri tempi con il pubblico assiepato il più possibile attorno al palco, manca solo la possibilità di fare stage diving, severamente proibito nel locale. Tanti i pezzi dell’ultimo disco: “Tear it down” , “This is now”, “Beholder of justice” intervallati da mazzate poderose come “Perseverance” (dove chi scrive ha visto la propria ugola staccarsi dal corpo e battere in in-decorosa ritirata) o “Puritan”. Ma la vera garanzia di brutalità sono proprio gli Hatebreed che dal vivo liberano, senza remore e senza giri di parole, rabbia repressa e indicibile crudeltà. Si chiude con “Smash your enemies” e con quello che ormai è un classico:”I will be heard” dove il pubblico ha cantato il celebre ritornello prima di lanciarsi nel furioso moshing finale. La serata ha visto avvicendarsi sul palco anche gli Sworn Enemy da NYC ordinari hardcorers che hanno messo a frutto la lezione dei Madball, ma con tanti tanti limiti. Voce stridula e massicce dosi di metal-core invadono il club, ma impattano sulla tiepida reazione dell’audience. E meno male che abbiamo avuto la possibilità di vedere sul palco il mitologico Enrico “Rico” Giannone con i Ciaff. Cafo-hardcore + testi politicamente scorretti + iconografia da mobsters (Al Capone o Don Vito Corleone sulle t-shirts, devo aggiungere altro?) è la geniale proposta dei Ciaff che hanno venti minuti a disposizione per ribadire quanto brutale possa essere il loro hardcore. La presenza scenica di Enrico è unica, come unici gli intermezzi dialettali tra una randellata e l’altra. A questo si aggiunga una batteria che è matematica pura, il basso del mitico Manlio che macina senza posa e i riff maligni e pesissimi dell’imperturbabile Butch Natrella. Grande band.
Autore: Andrea Raiola